... ritrovarsi, era un po’ caldo ma il caffè ghiacciato era perfetto. Durante l’incontro la nostra neogallerista ci ha illustrato la nuova mostra virtuale che avrebbe pubblicato di lì a poco sul suo account Instagram e quando gli ho chiesto come avesse individuato gli artisti internazionali da esporre, lei mi ha risposto tranquillamente che li aveva trovati sul web.
Sul web: non li ha conosciuti, non li ha frequentati, non è entrata nei loro studi, è stato solo un avvicinamento “online”. Questa cosa mi ha dato da pensare: siamo alle soglie di un nuovo modo di fruire l’arte o nel pieno di un delirio tecnologico? Vi è chiaramente tutta una nuova produzione che si snoda su internet, che utilizza lo strumento digitale con fine artistico. Spesso il risultato è un’estetica “retinica”, levigata e fatta per piacere, in cui non c’è alcun dolore, alcuna ferita, alcuna colpa, per citare Byung-Chul Han (filosofo di origine coreana e tedesco di adozione). A suo parere questa estetizzazione finisce nell’anestetizzazione e l’immaginario viene annientato.
Anche Instagram però può dare emozione, ad esempio quando ci si imbatte nell’account di Carol Rama, di cui l’archivio ripropone le opere. Il linguaggio violento e seducente dell’artista, morta qualche anno fa quasi centenaria nella sua amata Torino, non viene edulcorato neppure dai social. “Il bello - come dice Rilke - non è che il terribile al suo inizio, che noi possiamo ancora sopportare”. Perché la vera esperienza estetica non ha a che fare col sentimento del piacere, bensì con un particolare tipo di scossa, col riconoscimento e la consapevolezza della propria finitezza. Solo così l’arte ci salva.