Tutto funziona. E proprio per questo siamo perduti
Ogni epoca della storia umana si sviluppa entro un proprio orizzonte di senso, un insieme di valori, credenze e finalità condivise che orientano il comportamento individuale e collettivo.
Ogni epoca della storia umana si sviluppa entro un proprio orizzonte di senso, un insieme di valori, credenze e finalità condivise che orientano il comportamento individuale e collettivo.
La solitudine contemporanea non è fatta di silenzi, ma del frastuono ininterrotto delle notifiche. È questo il paradosso che caratterizza la nostra epoca: un mondo iperconnesso in cui, paradossalmente, il ritiro sociale cresce a ritmi vertiginosi.
In un tempo di rapidi mutamenti, la domanda su chi sia l’uomo e quale sia la sua natura rimane più che mai attuale. Il credente conserva una concezione chiara alla luce della fede. Per lui l’uomo è una creatura di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. Possiede dignità, libertà, ragione e capacità di amare ed è chiamato a vivere in relazione con Dio, con gli altri e con il creato.
La comunicazione, oggi, non è più soltanto un mezzo, ma l’ambiente naturale dell’uomo. L’universo multimediale, onnipresente e totalizzante, non si limita a modificare gli strumenti attraverso cui impariamo e interagiamo: esso ridisegna le coordinate del pensiero, del linguaggio e dell’identità.
L’educazione, per un insegnante cristiano, non è un semplice metodo, ma un atto d’amore che costruisce comunità, valorizza diversità, accoglie i cambiamenti, alimenta inquietudini e domande, rispetta i limiti e si vive come esperienza familiare e generativa.
Nel cuore di un’epoca attraversata da conflitti e fratture sempre più marcate – guerre, migrazioni, nazionalismi, polarizzazioni ideologiche – torna con forza il richiamo alla «difesa dell’identità culturale». È un appello che si presenta come esigenza legittima di riconoscimento, ma spesso cela dinamiche di esclusione, irrigidimento e chiusura. Il concetto di identità culturale lungi dall’essere una risorsa neutra, in molti casi, è una vera e propria trappola concettuale, generatrice di comunitarismi, indifferenza relativistica e conflitti.
La scuola, sin dalle sue origini, è stata concepita come il luogo della trasmissione del sapere. Tuttavia, ridurla a una semplice istituzione didattica significa fraintendere la sua natura più profonda. Definirla un’“avventura di relazioni” significa cogliere la sua dimensione più autentica: un cammino condiviso in cui studenti, docenti e comunità educante si trasformano reciprocamente. In un’epoca in cui la comunicazione digitale tende a sostituire il contatto umano, riscoprire la centralità della relazione educativa è una sfida decisiva per restituire senso all’esperienza scolastica e all’apprendimento. L’essere umano è, per sua natura, un essere relazionale.
In un'epoca caratterizzata da velocità e incertezza, la figura dell'insegnante riveste un ruolo cruciale, che va ben oltre la semplice trasmissione di nozioni. L'insegnante non è un mero esecutore di un programma didattico, ma un vero e proprio "artigiano del futuro", un attore sociale e culturale impegnato nella crescita integrale delle nuove generazioni. La sua professionalità si distingue per la sua "alta legittimazione", che trova fondamento nella Costituzione italiana.
La formazione dei docenti non può più essere considerata un aspetto accessorio del sistema scolastico, bensì il suo vero motore di cambiamento. Se vogliamo una scuola che non si limiti a trasmettere nozioni, ma che accompagni ogni studente nella costruzione di una cittadinanza attiva, nella maturazione di un pensiero critico e nella capacità di affrontare le complessità della società contemporanea, dobbiamo ripensare radicalmente il modo in cui si preparano e si accompagnano gli insegnanti.
La scuola non può limitarsi a riprodurre la società: deve formare menti libere, critiche e capaci di immaginare un mondo nuovo.