Un fenomeno che ha radici culturali e psicologiche, ma che tocca anche corde profonde dell’anima. Perché dietro lo scrolling compulsivo non si nasconde solo curiosità, ma anche la rimozione del Mistero, quella dimensione di profondità e attesa che rende l’essere umano aperto alla trascendenza. L’inquietudine è parte integrante della nostra umanità: è il segno di una fame di senso che ci abita, la spinta a cercare, ad andare oltre ciò che appare, a non accontentarci. È il volto buono della crisi, quella che smuove e apre.
Ma in un’epoca che ha fatto del controllo, della trasparenza e dell’immediatezza i propri idoli, questa inquietudine viene spesso soffocata da un eccesso di rumore informativo. L’uomo, invece di sostare nella domanda, preferisce saturarsi di risposte parziali, rapide, emozionali. «Nell’inferno dell’uguale», tutto diventa accessibile, visibile, istantaneo (Byung-Chul Han). Ma in questo tutto, si perde l’essenziale. La news addiction – dipendenza dalle notizie – è un fenomeno in crescita. La sua dinamica è subdola: ciò che nasce come sano desiderio di essere informati si trasforma in bisogno compulsivo di aggiornamento. Le piattaforme digitali, progettate per alimentare l’engagement, creano un flusso continuo di “ultim’ora” che stimola la dopamina e tiene l’utente connesso. Ma il prezzo è alto: frammentazione dell’attenzione, ansia latente, difficoltà a concentrarsi, impoverimento della vita interiore.
È come se il tempo della contemplazione fosse stato espropriato dal tempo dell’urgenza. Ogni notizia reclama attenzione, ma pochissime meritano davvero riflessione. Si leggono i titoli, si reagisce emotivamente, si passa oltre. E così si resta in superficie. «L’attenzione è la forma più rara e pura di generosità» (Simone Weil): oggi, questa attenzione è diluita in mille stimoli che non trasformano, ma saturano. In contrasto con questa logica iper-razionale e iper-informativa, si staglia il Mistero. Non come enigma da risolvere, ma come profondità da abitare. Il Mistero non si oppone alla ragione, ma la eccede. Non nega l’informazione, ma la relativizza, la riconduce al suo posto. Il Mistero «non è ciò che non si conosce, ma ciò che non si finisce mai di conoscere». (Romano Guardini) Recuperare il senso del Mistero significa rallentare, sostare, ascoltare, esercitare la pazienza dell’attesa. Significa lasciare spazio al silenzio, non come vuoto, ma come grembo generativo. Significa riscoprire una spiritualità della soglia, capace di tenere insieme fede e dubbio, parola e silenzio, visibile e invisibile. C’è dunque un’urgenza educativa e culturale.
Non si tratta di demonizzare le notizie o la tecnologia, ma di riconoscere il bisogno di equilibrio e discernimento. Serve educare alla qualità, alla profondità, al silenzio. Offrire spazi e tempi in cui l’essere umano possa tornare a sentire il peso della domanda più che l’ansia della risposta. In questo senso, le comunità religiose, le scuole, le famiglie, i luoghi di cultura sono chiamati a diventare oasi di disconnessione e di senso. Non per fuggire dal mondo, ma per abitarlo in modo più umano, più integro. Anche i media stessi possono scegliere di offrire non solo informazione, ma strumenti per comprenderla, contestualizzarla, decantarla. Nel cuore dell’uomo abita un’inquietudine che nessuna notizia può colmare.
È il segno di un desiderio più grande, di una fame che ha bisogno di profondità, non di velocità. Forse la vera rivoluzione culturale e spirituale del nostro tempo sarà proprio questa: tornare ad abitare il Mistero senza paura, lasciandoci disarmare dalla sua bellezza e provocare dalla sua alterità. In un mondo che vuole tutto chiaro, tutto subito, tutto sotto controllo, il Mistero ci ricorda che non tutto deve essere spiegato, ma qualcosa deve essere ascoltato, venerato, atteso. Ed è in questo ascolto che possiamo tornare a essere pienamente umani.