LA Coppa


Sport ed integrazione

L’Italia è un Paese di giovane immigrazione, fenomeno che ci ha riguardato solo negli ultimi 30 anni, con flussi contenuti rispetto ad altri Paesi europei o agli Stati Uniti. Il numero di stranieri residenti in Italia in percentuale è basso, tuttavia il nodo della questione risiede nel fatto che gli immigrati arrivati negli ultimi anni siano scarsamente integrati al tessuto sociale.

Spesso vivono in zone periferiche, dove colonizzano interi quartieri sul modello delle banlieue francesi.

Il modello di integrazione non funziona. Per scarsa volontà di entrambe le parti di conoscersi, scarso lavoro, e soprattutto la scuola, dove si insegna ormai poco e male, non è più quel luogo nel quale ci si incontra.

Ecco allora che per i ragazzi quello che può fungere da veicolo per l’integrazione è proprio lo sport. L’apripista in questo senso lo sta facendo l’atletica leggera, mentre il calcio è ultimo vagone. È un’enorme opportunità, per toglierli dalla strada, dai soldi facili della criminalità, per dare un obiettivo sano e vero a giornate vuote. Ragazzi che spesso hanno problemi di identità, ovvero non si sentono italiani, perché non integrati seppur nati qua, e nemmeno del Paese di origine, perché non vi sono nati né vissuti. Vestire la maglia delle giovanili di club o nazionali è un modo per sentirsi parte di qualcosa, molto più che le cittadinanze di carta.

È vero che abbiamo un’immigrazione giovane, specialmente dal Nord Africa, tuttavia è curioso come ci siano pochissimi ragazzi nelle giovanili, quale la ragione nonostante la diffusa passione per il calcio? Forse che, come dicevo in un precedente articolo sui problemi che affliggono il calcio italiano, vi siano delle barriere all’entrata per iniziare? Ovvero che per arrivare nelle giovanili dei club delle serie professionistiche serva che qualcuno paghi procuratori e dirigenti?

Inizio anche a pensare che il problema dell’immigrazione non si voglia volontariamente risolvere, che faccia comodo per ragioni economiche ed elettorali. Così si creano scontri sociali, etnici, religiosi ed economici, evitabili e dannosi. Lo sport può assolvere quel compito, ammesso vi sia la volontà.

Quello dell’integrazione, più dell’immigrazione, è uno dei temi cardini di questa epoca, per il quale si sta facendo davvero poco. Serve un gesto sia da chi ospita sia da chi arriva, altrimenti non c’è dialogo, perché è in esso che si riconosce l’altro e dunque se stessi. Un gesto simile lo ha fatto l’associazione di corsa “Run Padova ASD”, che ha accolto un giovane ragazzo pakistano Qamar Abbas, arrivato in Italia dopo un lungo viaggio, con un sogno, quello di correre.

I membri dell’associazione lo hanno “adottato”, fornendo aiuto e sostegno prezioso, sia nel lavoro, sia nello sport, dando l’occasione di continuare a perseguire il suo obiettivo, integrandosi con il territorio, in un incontro tra culture e generazioni.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.