L’essere umano, da sempre alla ricerca di un ordine razionale e simbolico attraverso cui interpretare il mondo, oggi si trova immerso in un tempo frammentato, liquido (Bauman), in cui le “grandi narrazioni” (Lyotard) si sono dissolte e le categorie tradizionali del pensiero sembrano non reggere più. Riprendendo una riflessione di Hannah Arendt sulla mancanza di pensiero, la nostra epoca si caratterizza per un’incurante superficialità, per l’assenza di domande radicali, per un pensiero che non si volge più all’essere, ma che resta intrappolato nella superficie dei fenomeni.
In un certo senso, potremmo dire che “l’oblio dell’essere” (Heidegger) ha raggiunto la sua massima espressione nella tecnica moderna e nella società dello spettacolo (Debord), dove tutto è funzionale, calcolabile, immediato, e nulla sembra più meritevole di riflessione silenziosa e profonda. Il disincanto del mondo, teorizzato da Max Weber, ha prodotto una razionalizzazione della vita che ha smarrito il legame con il sacro, con il mistero, con ciò che sfugge al controllo. Tuttavia, proprio dentro questa crisi si cela una possibilità: quella di un nuovo inizio, di una metanoia, cioè di una conversione dello sguardo. La confusione non è solo disordine: è anche soglia, possibilità, domanda che attende una risposta autentica. Il pensiero filosofico, sin dalle sue origini, nasce proprio da una situazione di trauma, di meraviglia inquieta. Platone ci insegna che la filosofia comincia quando ci si stupisce, quando si percepisce che la realtà non si esaurisce nell’apparenza.
In questo senso, il mondo contemporaneo, sebbene anestetizzato da un eccesso di informazione e da un’ipertrofia del presente, può essere nuovamente interrogato, se l’uomo recupera la capacità di stupirsi, di ascoltare, di tacere. Il concetto di “risveglio”, richiama la nozione agostiniana di “interior intimo meo”: è solo rientrando in sé stesso che l’uomo può incontrare ciò che è più profondo. La crisi del pensiero non può essere superata con nuovi strumenti esterni, ma solo attraverso una riforma interiore, un cammino di consapevolezza e di verità che passa per la fragilità, per la relazione, per l’apertura all’altro. In un’epoca che esalta l’autonomia dell’io, si riscopre che l’identità non si costruisce in isolamento, ma nella relazione dialogica (Martin Buber). La libertà, altro mito moderno, ha rivelato il suo volto ambiguo: emancipazione o smarrimento? Senza un “telos”, senza una finalità, la libertà si trasforma in arbitrio, e l’individuo, pur teoricamente sovrano, resta privo di orientamento. È la libertà negativa (Isaiah Berlin) che non sa più coniugarsi con la responsabilità e con l’appartenenza.
Perciò il compito odierno della filosofia non è solo critico, ma anche terapeutico: aiutare l’uomo a ricostruire un senso, a rimettere ordine nel caos, non con dogmi, ma con una riflessione che tenga insieme verità e desiderio, tempo e mistero. Infine, la domanda filosofica ultima non può che essere ontologica ed etica insieme: che cosa significa vivere umanamente in un’epoca disumanizzante? La risposta, forse, è già presente nell’invito a vivere consapevolmente la propria storia, accettare il limite come condizione di crescita, e cercare il Mistero non come fuga, ma come compimento dell’umano. Tornare a pensare, nel senso forte del termine, è oggi un atto di resistenza e di salvezza.