Vita d'artista


Giuseppe Penone

Qualche giorno fa sono andata a un evento a mio parere eccezionale, perché raramente si trovano riuniti insieme bellezza e verità. Sono stata invitata da Giampaolo Prearo, editore molto noto di monografie di artisti contemporanei, nonché collezionista per passione, alla presentazione del libro appena pubblicato su Giuseppe Penone, in due versioni: una “per tutti” e una più vicina al libro d’arte, con all’interno un multiplo dell’artista. 

Pareva una conferenza invece è stata un’agorà, un punto di incontro di anime affini. Prearo è ed è sempre stato una figura unica e singolare nel panorama italiano, direi un battitore libero, un visionario, che sempre ha unito acutezza di spirito, amore per l’arte e capacità commerciale. Mi ha colpito molto vedere nelle tante foto nel suo spazioso ufficio in via Moneta, la quantità di incontri con artisti di ogni dove. Mi pregio di avere pubblicato il mio primo catalogo con lui, grazie ad Enzo Cannaviello.

Con la partecipazione di Gianfranco Maraniello e Penone stesso, Giampaolo Prearo ha dato vita ad un vero e proprio evento, direi storico. L’artista sulle pareti bianche della sala ha ricreato un’installazione del 1969, che peraltro è anche presente nella nuova mostra appena aperta alla Serpentine Gallery a Londra: una frase timbrata più volte sul muro “8046 giorni nel cielo” che all’epoca erano la conta dei giorni della vita dell’allora giovane artista. Un volto asciutto, quasi scolpito nel legno, una voce seria e un poco titubante, propria di chi ha imparato a parlare in pubblico ma fa sempre un po’ fatica, Penone appare come un uomo schivo, privo di qualsivoglia supponenza: uno dei più importanti e conosciuti artisti italiani viventi, il più giovane esponente dell’Arte Povera, si è dato ai pochi (ma buoni) presenti, con animo generoso e aperto. Milano è strana alle volte.

Poco distante infatti, in via Nerino, si svolgeva un altro evento, la mostra di TVboy , “Omnia vincit amor” street artista che un po’ segue la linea estetica di Banksy ma a colori , un ragazzo che col berretto riverso e la visiera sul collo ti immagini ti entri in casa aprendo il frigo per prendere una birra. La mostra era ovviamente piena zeppa di gente, presumibilmente ha firmato il firmabile, magari anche le scarpe dei presenti. Si può forse dire che i giovani amano questi artisti perchè esprimono in modo semplice e diretto sentimenti condivisibili da tutti, del tipo fate l’amore e non la guerra. Infatti i due soldati che si danno un bacio sulla bocca è direi la bandiera della mostra. Ma mi verrebbe da citare quel provocatore di Baudrillard: è inutile sognare una rivoluzione attraverso i contenuti, come pure attraverso la forma, dal momento che il medium e il reale costituiscono ormai un’unica nebulosa indecifrabile nella sua verità.

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In questo numero hanno scritto:

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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.