Il dolore è un'esperienza che mette in crisi la persona, la priva di certezze e la porta a interrogarsi sul senso della vita. Per questo il processo di attribuzione di senso al dolore è radicato profondamente nella cultura e nella storia. Il dolore ci obbliga a confrontarci con la vulnerabilità e i limiti della nostra condizione umana. In questa amara esperienza si nascondono, però, imprevedibili possibilità di crescita interiore, di solidarietà e, per alcuni, di avvicinamento al divino.
La reazione al dolore, soprattutto nei giovani, esplode in rabbia e frustrazione, segnale, molte volte, di mancanza di ascolto e di egoistica indifferenza. Il malessere del singolo si riversa sul tessuto sociale e sboccia in eccessi estremi e violenti. Vissuto come esperienza solitaria e diventato anche fenomeno sociale, il dolore reclama ascolto, sostegno empatico e relazioni significative. Non si tratta di eliminare la sofferenza, ma di condividerne il peso, creando un ambiente e un clima in cui poter scoprirne il senso e trasformarla in opportunità di crescita. Valorizzare l’aspetto umano della sofferenza è consentire a chi soffre di riscoprire la propria dignità. Per comprendere il dolore, la mente umana ha cercato, nel tempo, narrazioni che potessero renderlo sopportabile, trasformandolo in esperienza positiva. In Occidente due grandi visioni del mondo hanno storicamente plasmato la percezione del dolore: la tragedia e la redenzione.
La visione tragica trova radici nel pensiero greco antico: la sofferenza è inevitabile e deriva dalla tensione tra l’uomo e le forze cosmiche o divine. In questa tragedia, il dolore non ha una soluzione definitiva: è una condizione dell’esistenza umana, un destino ineludibile che però può dare vita a una forma di bellezza e consapevolezza. Il dolore tragico porta a una comprensione profonda della fragilità e della grandezza umana, senza promettere un riscatto oltre l’esperienza della vita stessa. Di contro, la visione redentiva, fortemente radicata nella tradizione cristiana, conferisce al dolore un significato arcano e salvifico. La sofferenza è vista non solo come un male da evitare, ma come un mezzo attraverso cui l’uomo, entrato in una condizione di grazia, può essere trasformato. Il dolore è il preludio a una promessa che apre a orizzonti di speranza. Tali orizzonti trascendono l’esperienza immediata e invitano a un cammino di avvicinamento a Dio. Nel mistero della Croce non è il dolore in sé a salvare, ma l'Amore di un Dio che prende su di sé il dolore del mondo per trasformarlo in redenzione.
Di fronte al dolore si può assumere un atteggiamento di remissiva accettazione o di ribellione disperata ma si può anche trovare una motivazione che permetta di dare un nuovo significato alla propria esistenza. Opponendosi alla rassegnazione, la libertà che affiora dagli abissi della sofferenza costituisce il baluardo interiore della dignità umana che dà l’avvio a un processo creativo di ricostruzione della propria identità. Nella società moderna, il progresso tecnologico ha allontanato le persone dalla dimensione simbolica e collettiva del dolore, riducendolo a un problema da risolvere invece che a una realtà da comprendere. Il dolore non si può eliminare, ma è possibile imparare ad attraversarlo, riconoscerlo e accoglierlo come una dimensione positiva della nostra condizione umana.