Onestamente non pensavo che fosse a pagamento. Invece entriamo ai giardini e scopriamo che l’area era separata… ne percorriamo il perimetro e scopriamo che c’è il classico QR code da inquadrare, scrivere i dati e poi pagare l’ingresso, peraltro per niente economico.
Tant’è che visto il flusso importante di persone che ne varcavano la soglia, ho detto no. Di fronte a noi c’è il Pac, non ho ancora visto la mostra di Shirin Neshat quindi Orticola può essere, come dicono in slang i miei studenti, balzata.
Ho conosciuto Neshat più di vent’anni fa, a una conferenza alla Triennale organizzata da Roberto Pinto, che in collaborazione all’Assessorato Giovani del Comune aveva invitato artisti internazionali di un certo interesse, come anche Zoe Leonard e Carlos Garaicoa. Conoscevo già la forza delle sue fotografie, in cui lei si ritraeva con il chador e spesso un’arma, e poi scrivendo sopra il suo volto in persiano brani tratti dal Corano. Trovavo il suo lavoro molto potente e pieno di dolore, per tutte le donne che dopo la rivoluzione di Khomeyni avevano dovuto indossare il velo e nascondere il loro corpo. Alla conferenza mi ritrovai di fronte una donna minuta e graziosa, dolce. Mi colpì molto la sua gentilezza. Fummo presentate: vi era un po’ di differenza di età ma ci fu una corrente di simpatia immediata. Ho amato molto il suo lavoro di quegli anni, semplice e provocatorio e anche assoluto. I video erano più difficili da vedere ma qualcosa avevo trovato.
La mostra al Pac ancora in corso, è maestosa, i video, alcuni a me già noti, rimangono di grande impatto: affrontano temi legati ad un paese che ha scelto la teocrazia, al ruolo della donna, ma anche alla sofferenza dell’individuo, che sotto il peso del opinione comune, della massa giudicante, alle volte soccombe. I bianchi e neri si stagliano nelle immagini, le donne tutte velate in nero, gli uomini in camicia bianca, spossessati entrambi delle loro identità. Questa riflessione sulle differenze di genere, sulle strutture sociali che ne determinano i rapporti, è un’interrogazione che ci capita sempre più spesso di vedere anche nelle nostre città. Dopo tanti anni di femminismo e di pensiero sull’emancipazione femminile, mi coglie molto sconforto nel vedere anche qui giovani donne tutte coperte, di cui si vedono solo gli occhi e a volte le scarpe, seguite dagli altrettanto giovani mariti in Tshirt e pantaloncini: mi fa male. Neshat lo ha detto tanti anni fa, ora in modo ancora più sicuro, allargando le tematiche in senso critico non solo verso l’Oriente islamico, ma anche il nostro un po’ triste e ormai confuso Occidente.