Conosco Angelo da molti anni ed è una persona seria e gentile, per questo sono contenta che ci sia riuscito, oltre ad essere orgogliosa del bel testo che ha scritto per me a suo tempo, per la prima mostra di Oltremare. Finalmente dunque varco la soglia dalla parte del giardino: veramente un posto unico, dopo l’ottagono in legno si apre un grande cortile, con un bistrot e i tavolini attorniati dai grandi e antichi alberi di questi segreti e splendidi giardini nel centro di Milano.
Fa caldo, gli echi della guerra in Medioriente non paiono in nessun modo diminuire il flusso dall’estero, i tanti stranieri invadono Brera festosi e ciabattanti, i sightseeing sono pieni, ma cos’è questa Milano così turistica, così pop? Ma va bene, io onestamente sono preoccupata per le persone care bloccate a Tel Aviv, tra le sirene e i bunker, per questo mi dico, meglio muoversi e incontrare la bellezza. E così finalmente entro nella sala del grande primo studio del Quarto Stato, “Fiumana” di Pelizza da Volpedo, comprendo i sui pensieri e i suoi tentennamenti riguardo all’opera che sta componendo, alcune parti quasi concluse, altre tirate su solo per creare un pieno. E’ tutto silenzioso e fresco nella sala, un grande Previati gli fa da eco nella parete di fronte. E poi nelle salette, de Pisis, che ultimamente incontro spesso e mi commuove, come le tante opere di Morandi , ma anche un Bonnard, e l’incredibile doppio autoritratto di Boccioni, sul recto e sul verso della tela, e ancora Modigliani, Picasso, alcune tele di Sironi di grande forza. Ecco Sironi è sempre un po’ ostico, ma intenso. Le sale del Palazzo sono divise in aree dedicate a tre collezioni diverse, donate alla Pinacoteca di Brera, universi differenti che raggiungi attraverso il modernissimo corridoio di acciaio e vetro.
Infine, la mostra di arte contemporanea nei sotterranei, già quasi nel giardino, di Chiara Dynys, “Once again”. Scendendo ho avuto un flash della mostra di Paul Mc Carthy “Pig Island” del 2010, ad opera della Fondazione Trussardi, che sempre cercava luoghi inconsueti … e in quel periodo quegli spazi facevano quasi paura, la ristrutturazione pareva un sogno lontano, ancora. L’installazione consisteva in una gigantesca scultura, un work in progress: era una sorta di baccanale osceno, un misto di ferocia e di disperazione nella quale gli uomini erano esibiti come maiali, senza freni. Certo, tutta un’altra cosa rispetto alla placida tranquillità della mostra in corso.