Nell’ultima mostra di cui ho parlato ho visto alcuni lavori di Pierre Klossowski, filosofo, scrittore e pittore, fratello del più famoso Balthazar ( Balthus) e mi sono chiesta il perché non fossero stati inseriti entrambi. Balthus è un grande artista, le sue opere creano una sottile inquietudine che sarebbe state perfetta. Anche Pierre praticò molto la pittura, ma benché entrambi vissero nella sfaccettata temperie culturale del Novecento, ebbero come guida Andrè Gide e frequentarono artisti come Giacometti, Matisse, Picasso e Bonnard, tra gli altri, Balthus ha elaborato nella sua pittura una visione più sottile, più profonda. Discendenti da una nobile famiglia di origini prussiane ebbero a Parigi il loro epicentro, anche se nei primi anni del secolo migrarono con i genitori in giro per l’Europa, scansando guerre e dissesti finanziari, attirati da frequentazioni illustri e identità culturali.
Rainer Maria Rilke fu infatti il loro precettore, sospingendo i loro primi passi nel mondo letterario e artistico, verso l’“Aperto” secondo un’espressione usata da Rilke stesso. Non è un caso che Balthus dichiari che “Bisogna cercare l’inatteso. Lo straordinario nelle cose ordinarie. Lasciare un piccolo tocco di mistero …”. La sua pittura infatti è intrisa di questo fascino particolare, un’atmosfera sognante ma al tempo stesso problematica. Le bambine che ritrae sono innocenti: riposano, sognano, stanno ferme di fronte alla finestra, allo specchio. Balthus le definisce degli angeli dipinti in posizioni di abbandono, ma quell’atmosfera misteriosa è carica di ambiguità. E’ il potere dell’Eros, che come ogni forma di potere è conturbante sia per chi lo subisce ma anche per chi lo esercita.
La sua pittura è enormemente ricca di riferimenti storici, reminiscenze di Piero della Francesca, del Mantegna, e nei corpi di certo vi sono gli echi di un Rinascimento nordico, penso ad esempio alle Veneri adolescenti di Lucas Cranach, che però qui si declinano in forma più esangue.” La vittima” (1939) è il suo quadro più inquietante: una ragazzina è stesa su un lenzuolo, uccisa da un assassino invisibile. Non vi sono tracce di sangue sul suo corpo, perché Balthus non dipinge l’atto violento, ma il suo mistero. E’ di nuovo l’Aperto di Rilke: quello spiraglio nella trama delle cose, quell’allentamento nella maglia del reale, per vedere oltre. “Sono sempre stato guidato da una necessità interiore. La dimensione spirituale è fondamentale. Senza questa, la pittura non ha nessun interesse”.
