Vita d'artista


La propaganda

Non so ancora come prendere lo sciopero nazionale di lunedì scorso, dato che i livelli di lettura sono svariati. So di per certo che è stata per me una giornata difficile: avevo un impegno accademico presto alla mattina e sono stata sorpresa da un mezzo diluvio per strada mentre raggiungevo Brera. 

Ho dovuto sostenere dei colloqui di trasferimento al buio, perché l’acqua aveva allagato le cantine dell’Accademia e la centralina elettrica era in tilt, con decine di studenti che aspettavano fuori dalla porta, io con i vestiti incollati al corpo e le scarpe bagnate. Un incubo. Un incubo che si è alleggerito col passar delle ore ma che al momento di tornare a casa, quando nessun mezzo passava e la metro era chiusa, mi ha scatenato una rabbia impotente.

Ho pensato che, ma forse mi sbaglio, uno sciopero nazionale per una questione di politica internazionale a mia memoria non l’avevo mai visto. Che avrei sostenuto meglio il disagio e la fatica di quel momento se lo sciopero fosse stato indetto per i diritti dei lavoratori, per gli stipendi italiani, i più bassi d’Europa, per il costo della vita sempre più alto, per la sanità malversata, la scuola allo sbando.

Niente di tutto questo invece. Anche in tempi di tracollo nazionale c’è chi sostiene che i sindacati hanno sempre fatto politica internazionale, e chi se ne importa di quanto siamo malmessi, ci sono cause molto più importanti, i miei studenti direbbero molto più “hype”. Mi viene il dubbio, purtroppo, che per nascondere un enorme vuoto di idee e di rimedi pratici, tutto ormai sia diventato ideologico e radicale, polarizzato dai media e dai social, e che sostenere una parte o l’altra di guerre lontane sia di gran lunga più facile che mettere mano agli stipendi bassissimi. 

Personalmente non mi capacito di come, in un periodo storico che consente di avere un enorme quantità di informazioni in rete e quindi teoricamente di essere più equilibrati nei giudizi, si sia tornati così indietro alla propaganda più divisiva, agli slogan più triviali, alla più becera manipolazione, ai pregiudizi, all’intolleranza e ahimè anche all’odio.

Brecht, ne l’Opera da tre soldi, con il suo famoso aforisma, a metà tra paradosso e verità, ironia e provocazione, diceva: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. Proponendo così un altro pensiero: aldilà delle attuali rime fiorite, dei castelli svettanti e delle auliche certezze meno numerosi, molto meno, sono quelli che scrivono opere da tre soldi, erette con la materia lieve di una sola convinzione: “Di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio”.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.