Sì, Gustave Klimt, il grande artista, era anche poeta. La sua vita, così segnata dal lavoro, era chiusa nel guscio di un’esistenza borghese, le sue giornate regolate da rigide abitudini. Come nella maggior parte degli artisti vi era in lui una lacerazione, che gli impediva di abbandonarsi alla vita. Le grandi opere, come spesso capita, nascono da esperienze dolorose.
Klimt non ha mai voluto assumersi la responsabilità di essere felice e l’unico privilegio che concesse alla donna che amò per anni, fu di consolarlo nel momento della morte.
Aldilà della maschera, l’infelicità, o la malinconia, è un nodo profondo per gli artisti, uno scuro fiume carsico nel quale immergersi, non si sa se per ossessione o piacere. Sono stati scritti dei bei libri a riguardo, ne cito un paio molto famosi e dal titolo simile: quello di Margot e Rudolf Witkower “ Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’antichità alla Rivoluzione francese” un’eccellente ricerca storica, molto approfondita e quello di Susan Sontag “ Sotto il segno di Saturno” una raccolta di saggi degli anni Settanta dell’autrice, una sorta di galleria critica di grandi melanconici della letteratura e dell’arte.