Qualche giorno fa, in un lieto convivio e davanti a un bicchiere di Ribolla gialla, parlavo assieme a conoscenti, della collaborazione importante che vi è stata, fintanto che è rimasto in vita, tra Germano Celant e la Fondazione Prada a Milano che si deve ammettere, pur rimasta orfana del grande curatore, continua a produrre progetti di ottimo livello, nonostante le critiche. A un certo punto della conversazione mi si sblocca un ricordo, mi sovvengo di quando conobbi Celant la prima volta, a New York. Ero partita con Marina Pizziolo, storica e critico d’arte, nonché curatrice di grandi collezioni, per una settimana di giri, incontri e appuntamenti, visite a mostre e quant’altro. Fu un viaggio sorprendente, da tutti i punti di vista.
Un giorno eravamo in un momento di pausa, passeggiando a piedi per Central Park, e a un certo punto arriva un acquazzone di quelli potenti, come capitano in America, dove la natura è forte, tempestosa. Quasi fradice, decidiamo di riparare nel primo posto disponibile, che fu in quel caso il Guggenheim Museum. Entriamo e la persona alla reception ci avvisa che il museo è chiuso, per via dell’inaugurazione dell’archistar Zaha Hadid: invece di demordere, Marina estrae il suo tesserino di giornalista e così, semplicemente, entriamo a vedere la mostra. Col suo movimento circolare il museo ben si adattava ai lavori esposti della Hadid, che non si limitavano ai soli progetti di architettura, ma spaziavano fino al design e alla pittura, in un particolarissimo percorso creativo, anticonvenzionale, segnato anche dalle sue origini mediorientali: nata in Irak, si laurea a Beirut in matematica e poi arriva a Londra dove studia architettura con Rem Kollhaas.
Arrivammo salendo gradatamente fino all’ultimo piano, dove si svolgeva l’inaugurazione e non c’era molta gente, causa forse il maltempo. Furono tutti meravigliati della nostra presenza e molto gentili. Celant era incuriosito e fece gli onori di casa in modo accogliente, due italiane a una sua mostra nella grande Mela, era inusuale. Poi ebbi modo di approfondire il suo pensiero riguardo al rapporto tra opera e spazio, arte e architettura e il momento in cui le due dimensioni si incontrano nella figura di architetti, come Gehry e la stessa Hadid, che incarnano quel pensiero. Zaha Hadid fu amichevole, interessata alla nostra presenza, volle sapere del mio lavoro, era veramente aperta e simpatica, felice del nostro arrivo. Altri tempi.