Vita d'artista


La battaglia di Anghiari

“Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui milanesi, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell’intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce”.

Paolo Giovio, 1523

Nell’ottobre del 1503, la Repubblica di Firenze, precisamente nella persona del gonfaloniere Pier Soderini, commissionò a Leonardo da Vinci la realizzazione di un grande affresco che avrebbe dovuto decorare una delle pareti del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, la battaglia di Anghiari, in quella opposta sarebbe stato chiamato il ben più giovane ed emergente Michelangelo. La sala era enorme. L’intento era di celebrare la vittoria dei fiorentini sui milanesi,capitanati dall’umbro Niccolò Piccinino, al soldo del ducato di Milano, che aveva mire espansionistiche nell’Italia centrale.

La Battaglia di Anghiari è in assoluto la prima opera sulla guerra come la intendiamo oggi, Leonardo sapeva di dover realizzare un’opera dal forte impatto politico. Si trattava di mostrare il trionfo di una Firenze riflessiva, forte dei suoi diritti e delle sue istituzioni, su un esercito di mercenari brutali e spietati. Il soggetto è assolutamente nuovo, mai proposto prima, e Leonardo decide di utilizzare una tecnica diversa dall’affresco, ma ahimè destinata a rovinarsi immediatamente, una sperimentazione mancata. Perché? Perché l’affresco è un metodo veloce, composto a pezzi e non a velature, la porzione su cui si lavora deve essere terminata prima che si asciughi l’intonaco. Leonardo ha uno stile che chiede più lentezza, preferisce l’olio: purtroppo la strategia fallisce ed abbandona l’impresa. Quello che ne rimane, anche se inestimabile, sono delle copie degli artisti dell’epoca, la più famosa quella di Rubens, dal cartone preparatorio, che fu conservato nel Salone per parecchi anni.

Da queste copie possiamo capire come Leonardo avesse immaginato la scena: da un lato Francesco e Niccolò Piccinino, colti in espressioni di brutalità e violenza, le bocche spalancate in urla animalesche e gli occhi inferociti, dall’altro i fiorentini con un atteggiamento più composto. Leonardo infatti sceglie di rappresentare la feroce battaglia tra i capi degli schieramenti a cavallo per entrare in possesso del vessillo dell’esercito milanese: in mezzo, i cavalli dalle espressioni atterrite. Costretti dai cavalieri a scontrarsi e annientarsi a vicenda incarnano il pensiero di Leonardo, che definisce la guerra una “pazzia bestialissima”, e attraverso gli animali esprime la sua rabbia e l’avversione per la follia degli uomini. Ancora oggi, un grande capolavoro.

© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Silvia Andrea Russo (Cremona): passione per l'antichità, la letteratura, la recitazione, la musica, il canto e la scrittura
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.