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La paradossale e tragica capovolta di Ofelia

Il rifiuto da parte di Amleto, la follia, la morte per annegamento: questi sono gli elementi per i quali è nota ai più Ofelia, uno dei volti femminili più celebri del teatro shakespeariano.

Ritenuta personaggio secondario nella trama dell’Amleto, Ofelia è un personaggio, tuttavia, che vanta una profonda tragicità e una complessità psicologica che a lungo hanno destato domande nei critici e negli esperti della materia. Come si comporta veramente Ofelia nei riguardi di Amleto? Quali sono le vere cause della sua perdita di senno? Si uccide o si lascia morire?

Questo articolo si pone come obiettivo quello di mettere in luce, seppur concisamente, l’ambiguità e la contraddittorietà di un personaggio che vive di ciò che gli altri vogliono che sia.

Quando compare in scena per la prima volta (I,3), Ofelia è stretta tra due figure maschili, il fratello Laerte e il padre Polonio. Totalmente immersa in un mondo di uomini, Ofelia si regala al pubblico e ai lettori come concreta manifestazione di un femminile che, sulla base di stereotipi figli di una tradizione secolare, deve piegare il capo dinanzi al potere maschile. È in questa prima scena che spettatori e lettori vengono conoscenza di un amore, quello tra Ofelia e Amleto, sul quale Shakespeare fornisce solo vaghe informazioni. Ciò che si sa è che è un amore ostacolato sia dal fratello che dal padre della fanciulla. Se Laerte mette in guardia Ofelia dal presunto carattere vano e capriccioso dell’affetto di Amleto, esortandola a conservare con pudore il “casto tesoro” (I, 3), ben più severe sono le parole di Polonio, uomo di corte, di politica, d’onore. Preoccupato dalla libertà con la quale Ofelia sembrerebbe, a detta dei pettegolezzi, intrattenersi con il giovane principe, Polonio ordina inamovibilmente alla figlia di prendere le distanze dall’amato. In un mondo che guarda con occhio critico la figura della donna e che di questa esalta la castità quasi per scongiurare la pericolosità del corpo e della sessualità femminili, l’esperienza amorosa di Ofelia deve necessariamente essere controllata, gestita, ricondotta a forza nei contorni del buon costume, prima che cada rovinosamente nel marcio, nel negativo esito di un femminile corrotto, depravato, troppo libero.

Ma Ofelia è un’anima pura. Ofelia non fa rumore, Ofelia è ubbidiente, Ofelia rispetta le gerarchie, l’autorità paterna, il controllo maschile. Ofelia rifiuta Amleto e le sue lettere. Ofelia si nega al principe e, soprattutto, così facendo si nega a sé stessa. Ed è proprio in questa negazione che, paradossalmente, l’immagine di Ofelia si capovolge. Il volto di Ofelia si sovrappone a quello dell’unica donna che nel dramma, invece, non si è mai negata: la regina Gertrude. L’unica donna che, oltre ad Ofelia, compare nella tragedia.

La sorte della giovane costretta a rinunciare all’amato e quella della regina che sposa in seconde nozze il cognato trovano giuntura agli occhi dell’unico personaggio che, legato a entrambe, nella propria (finta o vera) follia può mescolarle, confonderle, riplasmarle: Amleto.

Per comprendere la natura della fusione tra Gertrude e Ofelia e la conseguente capovolta dell’immagine di Ofelia partiamo dalla prima scena dell’atto II. Amleto irrompe come un folle nella stanza di Ofelia. Ofelia si spaventa, corre da Polonio, Polonio usa Ofelia per dimostrare al re che Amleto è pazzo d’amore. Sebbene la problematica follia di Amleto abbia origini ben più varie e profonde, Polonio, tuttavia, non ha, forse, proprio tutti i torti. L’ Amleto che vediamo maltrattare Ofelia è l’Amleto che ha visto lo spettro del padre, l’Amleto che è stato informato della vera causa della morte dello stesso, l’Amleto che è stato chiamato a compiere l’assassinio dello zio, il re Claudio. È l’Amleto che vive lo sgretolarsi graduale dei propri riferimenti. È, soprattutto, l’Amleto che prova un sempre crescente disprezzo viscerale per la madre, vedova per troppo poco tempo, troppo velocemente convolata a nuove nozze, per l’aggiunta con l’assassino del defunto primo marito. E proprio mentre tutto il mondo di Amleto entra in crisi, Ofelia, sotto costrizione del padre, si allontana.

Come molti critici notano, infatti, la scena sopra menzionata, così come la cosiddetta “scena del convento” (III,1), rispondono non solo alle logiche di una follia meditata, necessaria, studiata a tavolino, ma anche a uno smarrimento vero, tangibile, una sofferenza reale. Amleto cerca supporto, forse, cerca comprensione. Amleto cerca Ofelia, ma Ofelia non c’è più.

E allora ecco che Ofelia, agli occhi del principe, si tramuta nella traditrice, nel male. Ecco che, nella sua (imposta) presa di distanza, Ofelia accoglie inconsapevolmente su di sé quella falsità, quella superficialità, quella volubilità che Amleto (come la tradizione della quale si fa portavoce) attribuisce alle donne. Donne che, per il principe, trovano figura archetipica proprio in Gertrude.

“Li conosco i vostri cosmetici, li conosco. Dio vi ha dato un viso e voi ve ne fate un altro; voi ballate, saltabeccate, balbettate leziosamente per immiserire le creature di Dio e siete tutte sfrontatezza e ignoranza.”

(III, 1)

In altre parole, Gertrude, per Amleto, è il punto di partenza di un processo di assolutizzazione e generalizzazione di corrotti attributi femminili, processo della cui correttezza Ofelia è la prova materiale. Ofelia e Gertrude, così, la fanciulla e la donna, la casta e la lussuriosa, finiscono, per assurdo, per assomigliarsi, per ricongiungersi.

“AMLETO: È un prologo o il motto di un anello?

OFELIA: È durato poco, mio signore.

AMLETO: Come l’amore delle donne.”

(III, 2)

Ma quale amore dura poco? Quello di Gertrude per il primo marito? Quello di Ofelia per Amleto?

Ofelia non lo sa. Ofelia non sa nulla. Ofelia si confonde, si perde, Ofelia è costretta a fare la brava, ma poi proprio per fare la brava diventa, suo malgrado, cattiva. Ofelia viene rifiutata, mortificata, Ofelia impazzisce. Ofelia si smarrisce, vittima degli sguardi altrui, del loro modo di vederla, di volerla, di inventarla. Ofelia si perde, incompiuta e incompleta, pagina bianca sulla quale vengono tracciati i disegni degli altri, degli uomini; le loro paure, le loro aspettative, le loro frustrazioni. Ed è proprio quando quegli sguardi vengono meno, quando Polonio muore, Laerte è lontano e Amleto l’ha abbandonata, è proprio quando rimane sola che cade l’involucro. Quello che resta è la follia, un continuo capovolgersi, rivolgersi, alla ricerca di un’identità propria, così sofferta, così difficile, così pesante da portare alla morte.

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