Oggi quel mondo ci chiede manutenzione e un continuo adattamento.
Il nostro tempo non è solo lavoro, è assistenza, accompagnamento, mediazione, cura di corpi stanchi e sogni fragili. E allora costruiamo e manuteniamo: relazioni, reti, equilibri economici, case, memorie. Siamo la generazione che riempie i vuoti lasciati dallo Stato sociale in ritirata, dai mercati impazienti, dai legami familiari che si assottigliano, dagli smartphone che rubano vita. Curiamo gli anziani perché vivono a lungo mentre i sistemi sanitari non bastano. Curiamo i giovani perché il sogno di un futuro di nuovo a loro misura non basta. Quel futuro non arriverà, dovranno come noi imparare a pedalare e rimanere in equilibrio, ma questo prende tempo. E nel mezzo, cerchiamo di curare anche noi stessi, mai abbastanza.
Eppure siamo fieri della nostra fatica. Dentro questa fatica c’è una forza nuova: il riconoscimento che la cura è infrastruttura, scienza, tecnica e professionalità, non solo sentimento. Mente, progetto e scelta consapevole, non solo braccia e cuore. È bello sentirsi utili, sentirsi leoni e leonesse contemporanei nel vivere questo unicum della storia dell’umanità. Siamo insieme poeti e ingegneri, cuochi e psicologi, medici e pedagoghi, allievi e maestri, non ci poniamo limiti. Non abbiamo paura di cambiare, giorno dopo giorno. Ci mettiamo costantemente in gioco. Non farlo costa caro, in tutti i sensi.
Per noi prenderci cura non è solo un gesto privato, è un atto politico. Oggi la tenuta di una società intera passa da noi. Ma non siamo soli. Ci sono loro, le tecnologie che impariamo ogni giorno a progettare, domare eticamente e usare per noi e per gli altri. Robot badanti per i nostri genitori per potenziare le loro membra, monitorarne i parametri vitali e intrattenerli nella conversazione, tutor socratici a base di IA per potenziare il senso critico dei nostri figli, telemedicina e domotica per sapere tutto, ma proprio tutto, dei nostri anziani quando siamo lontani, e una full immersion nel digitale per cercare di afferrare qualcosa delle ansie e dei sogni dei nostri giovani eredi, rischiando noi stessi di sprofondare in quelle sabbie mobili.
Per questo studiamo dalla mattina alla sera, amiamo dalla mattina alla sera, litighiamo dalla mattina alla sera. E intanto il tempo passa, anche se meno velocemente che in passato. Questo ci da un alibi e un’illusione. Anche per oggi inizieremo a amare noi stessi da domani, per quello c’è sempre tempo. È il nostro destino.
Questo è il manifesto della mia generazione, la generazione della cura, e di questo, a partire da questa settimana, parleremo in questa rubrica.