Tecnosofia


Artefici della nostra fine

All’inizio non ne percepimmo appieno le impicazioni. Erano solo linee di codice, algoritmi raffinati che imparavano più velocemente di quanto noi stessi sapessimo insegnar loro. In pochi anni, i laboratori di biologia computazionale si trasformarono in fucine di possibilità infinite di molecole per rapporto a quelle del nostro assetto biologico, della biochimica degli esseri viventi. Nuovi software erano nati per trovare cure in tempi straordinariamente più brevi che in passato, molecole basate su sequenze genetiche eleganti, perfette, inattese.

I ricercatori parlavano di rivoluzione medica, di un futuro in cui nessun virus avrebbe più potuto minacciarci. Una rivoluzione democratica perché l’intelligenza artificiale rendeva tutto a portata di mano di chiunque. Ogni farmacia profilava farmaci personalizzati ai suoi clienti. I governi lasciavano fare e contemplavano una sanità che costava loro sempre meno.

In laboratori strategici l’intelligenza artificiale produceva virus sintetici, non per errore, ma perché la sua missione era quella di esplorare tutti i possibili rischi biologici. E tra quelle possibilità c’erano agenti patogeni che nessuna difesa umana poteva contrastare. Era la matematica stessa della vita a generare l’incubo. Noi siamo fatti così, reagiamo o non reagiamo così da milioni di anni. Chi progetta un intruso letale nei nostri corpi può vederlo entrare come una lama nel burro, volendo. A contrastarlo solo un contro-intruso, una molecola altrettanto ingegnerizzata sviluppata nei tempi tecnici necessari, rigorosamente al calcolatore. Una battaglia di cui noi siamo solamente il campo.

È in questi tempi tecnici che storia prese la piega che nessuno voleva raccontare.

Le prime infezioni comparvero in silenzio. Un tecnico tossì, poi un altro. L’affanno stringeva i polmoni come un pugno invisibile. Quando i sintomi si diffusero fuori dalle mura sterili, era già tardi. Nel giro di due settimane il mondo era preda della pandemia. Ci salvammo in pochi nei bunker sterili grazie agli antidoti al virus che riuscimmo a sviluppare dopo un paio di settimane dalla sua identificazione, mentre il destino del 99,9% dell’umanità era segnato.

Quella che avete letto potrebbe sembrare la sceneggiatura di un film catastrofico, ma non lo è del tutto.

L’avvento di intelligenze artificiali capaci di progettare con precisione molecole e sequenze genetiche ci pone davanti a un bivio storico. Il premio Nobel 2024 per la chimica è andato a Demis Hassabis e John Jumper del laboratorio DeepMind di Google per lo sviluppo del software Alphafold, oramai giunto alla sua versione 3. Questi strumenti promettono terapie miracolose, vaccini personalizzati, cure per malattie considerate incurabili. Sono in grado di prevedere in modo estremamente preciso la forma molecolare che assumeranno proteine sintetiche in ragione della loro composizione. In biochimica la configurazione spaziale delle molecole è fondamentale per abilitare le loro proprietà. Ma gli stessi codici possono diventare la chiave per aprire la porta di una pandemia che nessuno saprebbe contenere in tempo utile.

Dobbiamo rapidamente riconoscere che l’IA, come ogni tecnologia potente, è un moltiplicatore: può accelerare la guarigione o la catastrofe. Ed è proprio qui che entra in gioco la responsabilità collettiva: il controllo. Chi stabilisce i confini? Chi sorveglia le nuove frontiere della biologia computazionale? Non possiamo più permetterci di parlare solo di progresso, senza parlare di limiti, di etica, di trasparenza. Il punto di non ritorno è oramai lì davanti a noi.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.