E se la prende anche con le multinazionali, anche americane come Apple, ree di aver spostato la produzione degli iPhone dalla cattivissima Cina all’India, ma non agli USA come avrebbe voluto il Presidente. Capendo l’andazzo, il CEO di Nvidia Jensen Huang ha preso il toro per le corna, e concordato con Trump di lasciargli il 15% dei ricavi fatti in Cina, pur di continuare a farli. “Affare fatto” ha esclamato il nostro, siglando un accordo normalissimo nei mondi di business e Camorra. Chiamatelo dazio, commissione sulle vendite o pizzo, percepitelo come volete, e quello è.
Non è certo la prima volta che un Presidente americano entra in affari con una sua multinazionale, sia per difendere gli interessi domestici, come Obama che cedette Chrysler a Marchionne per evitare il licenziamento di migliaia di dipendenti in un fallimento, sia per espandersi all’estero, come Bush che portò le aziende della difesa a vendere ai paesi arabi. Huang è partito da lontano per ottenere questo deal (affare), sponsorizzando lobbisti vicini al Presidente, convincendo persone fidate come David Sacks, fino ad organizzare una cena di gala con biglietto d’ingresso da un milione di dollari a testa. Alla fine, è riuscito a parlare da solo con Trump, ed ha ottenuto la riapertura dell’export verso la Cina, che in precedenza il Presidente aveva bloccato per proteggere la gara dell’intelligenza artificiale. Ovviamente questo accordo vale anche per il principale concorrente americano di NVDIA, la AMD californiana che da anni conquista il mondo con i suoi chip, ma non per le aziende estere più piccole.
Questo affare tra Huang e Trump è un bell’esempio di negoziazione integrativa, dove entrambe le parti vincono quello che volevano. NVIDIA risparmia un capitale rispetto alle multe che avrebbe pagato continuando ad esportare con il divieto, passando da $50 a $3 miliardi di dollari quello che paga nelle casse federali americane. Trump puo’ chiedere condizioni di maggior favore ai cinesi, ora che dimostra di averli aiutati con la vendita di tecnologia cui tengono molto, e continua a far cassa. Il dato certificato al 30 giugno è di $29 miliardi che l’America ha ottenuto grazie alle tariffe, e sono tutti convinti che dal 2.7% dei ricavi del governo, i prossimi mesi vedranno una crescita fino al 5%. Son soldi, ma rispetto al debito pubblico e’ ancora presto per consentire al Presidente di abbassare le tasse come promesso in campagna elettorale. Se volete dettagli, qui https://www.npr.org/2025/08/11/g-s1-81934/trump-tariffs-record-revenue
L’implicazione di un Presidente negoziatore che continua a far saltare il banco, rivedendo le intese con diversi paesi a seconda di quanto obbediscono, e mettendoci di mezzo pure multinazionali che muovono migliaia di miliardi, è l’imprevedibilità e quindi l’incertezza con cui tutti devono fare i conti, in ultima analisi tenendosi dalla parte del buono per mitigare i rischi. Questo ha un effetto depressivo sull’economia, e rischia di mandare sul lastrico molte aziende piccole, che verranno sempre piu’ fagocitate da quelle grandi in grado di negoziare condizioni favorevoli direttamente col Presidente.