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Perché la Tour Eiffel

La torre Eiffel è indiscutibilmente l’icona e il simbolo di Parigi. Non si può andare a Parigi senza vederla e, costi quel che costi, salirci. O almeno vederla mentre toglie il fiato dal bateau mouche sulla Senna o sberluccica nella notte dalla grande scalinata del Tracadero. 

Nei pressi della Tour si accalcano i mille banchetti irregolari, i fotografi con iPad che vi lasceranno il video della vita del vostro amore del momento, i gruppi di performer improvvisati e organizzati. Salendo sulla Tour proverete il brivido delle montagne russe del Luna Park, anche se manca il colpo al cuore della discesa pazza.

La Tour è una festa, non c’è dubbio. Ma perché è diventata icona e simbolo? Sì, è una meraviglia architettonica, che congiunge snellezza ed eleganza con l’immensa quantità di ferro. Ma, d’altro canto, è stata concepita solo per questo: per meravigliare. I vuoti e i pieni del ferro che tanto attraggono, l’altezza vertiginosa, l’accesso esclusivo e complesso in realtà la rendono inutile e inabitabile. Concepita per un’esposizione universale (1890), è fatta solo per stupire. Non ha storia, non ha funzione, non ha significato. Persino la vista su Parigi non è la migliore. Dalla Tour Montparnasse, da Montmartre e soprattutto dal Centre Pompidou la vista è molto più interessante. Da lassù si vede solo la curva della Senna, argenteo nastro che avvolge le due rive più visitate del mondo.

E allora perché è un’icona e un simbolo? Tecnicamente parlando, semioticamente parlando, è diventata importante perché non funziona né come un’icona, che rappresenta il proprio oggetto per similarità come farebbe un quadro di Parigi, né un simbolo, che richiederebbe delle interpretazioni di significato, delle conoscenze storiche. La Tour Eiffel funziona come un indice, cioè come un dito puntato, come un punto esclamativo, secondo la celebre immagine usata dal fondatore della semiotica Charles S. Peirce. Un indice dice solo: “qui!”. È la funzione degli obelischi celebrativi di battaglie e vittorie. Ed è forse per questo suo essere solo un indice che la Tour è diventata così importante e popolare: perché non dice nulla, non è impegnativa, non comporta comprensioni, spiegazioni, opinioni e interpretazioni. Qui! Qui c’è Parigi. Poi ciascuno deciderà cos’è Parigi: l’allegria, la vita, la felicità, l’amore. Ma non dovrà impegnarsi nel definire e pensare, nell’approfondire la storia della Chiesa e dello Stato, delle rivoluzioni e delle restaurazioni, della cultura e della contestazione. Qui e solo qui, senza altri pensieri. A questo deve il suo successo centenario e destinato a durare: la Tour Eiffel è il punto esclamativo più grande del mondo.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.