A parte Rubio e pochi altri fidi scudieri, che oltre a supportarlo in questa censura vorrebbero pure togliere la cittadinanza americana a chi critica Israele, la maggior parte dei suoi compagni di partito mostra insofferenza a questi tentativi di censura. Non importa che il giudice di New York abbia riso all’insussistenza della denuncia al NYT, conta poco che Kimmel sia tornato in TV in pochi giorni a furor di popolo, e non v’è certezza di cosa faranno sull’algoritmo di TikTok; il problema è l’inversione ad U sulla libertà d’espressione del Presidente che impressiona l’elettorato.
Fu lui ad ingaggiare la battaglia sulle fake news, dal suo falso coinvolgimento russo alle prime censure di Twitter e Facebook, vantandosi di essere paladino integerrimo della nostra libertà fondamentale. Che sia lui stesso oggi a chiedere censure ed indagini a destra e sinistra, imbarazza i suoi stessi elettori, e prova che quanto entri a Washington, il deep state cattura tutti indistintamente.
Mentre la costituzione è chiara sulla protezione del diritto d’espressione, il controllo dei media finisce per dettare le linee editoriali ed eliminare quel giornalismo investigativo e pluralità di opioni che sono il nostro checks and balances. Se quindici anni fa 92 delle 100 principali testate esprimevano il supporto per l’uno o l’altro candidato presidenziale, ora siamo scesi a 25, segnale che gli editori hanno paura, o meglio hanno dei padroni che non vogliono offendere il capo. Tra Murdoch, Musk ed Ellison, oggi Trump gode di media amici in ogni angolo, comprese le CBS e CNN che per anni erano state schierate per i Democratici.
Per fortuna la battaglia delle fake news ha anche portato all’abbandono dei media da parte degli americani, e solo il 3% della popolazione ammette di credere a quanto vede in tv e legge sui giornali. Ora che TikTok viene preso sotto l’ala protettrice degli amici ricchi del Presidente, e che X ha già perso credibilità per come soffoca alcune linee di pensiero anti-governativo, da YouTube ad altre piattaforme sono molte le alternative per farsi un’idea di quanto succede nel paese e nel mondo.
Gli americani, come gli scandinavi, sono da sempre al vertice della classifica per il grado di supporto alla libertà d’espressione, che ovviamente include quella di critica a chi governa. Le espulsioni di un paio di nostri comici dai loro spettacoli televisivi hanno causato reazioni forti: nel caso di Jimmy Kimmel moltissimi clienti Disney hanno disdetto i loro abbonamenti nel giro di poche ore, determinando un crollo in borsa e la saggia decisione di ripristinare la sua trasmissione in un paio di giorni. La speranza è che tra i collaboratori del Presidente qualcuno si faccia avanti e gli spieghi che sta tirando una corda pericolosa: il suo ego è meglio gestito sul campo da golf che censurando chi fa satira o informazione.
Purtroppo, quando Larry Ellison raccomanda maggior sorveglianza e censura per assicurarsi che “i cittadini si comportino nel modo migliore”, e consideriamo che lui controlla CBS, MTV, Pramount, Skydance, CNN, HBO e da ultimo TikTok, la speranza si tinge di presagi infausti.