LA Caverna


Nuove generazioni in cerca di senso: il ruolo chiave dell’educatore cristiano

L’educazione, per un insegnante cristiano, non è un semplice metodo, ma un atto d’amore che costruisce comunità, valorizza diversità, accoglie i cambiamenti, alimenta inquietudini e domande, rispetta i limiti e si vive come esperienza familiare e generativa.

Il maestro «deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia» (in "Adesso fate le vostre domande. Conversazioni sulla Chiesa e sul mondo di domani" di Papa Francesco e Antonio Spadaro, Rizzoli 2017 e A. Spadaro, «“Svegliate il mondo!”. Civ. Catt. 2014 I 3-17). Oggi, il rapporto tra giovani e Chiesa è attraversato da una tensione crescente che rischia di trasformarsi in una frattura vera e propria. Non si tratta di un rifiuto radicale della fede, né di indifferenza assoluta: la domanda religiosa non è scomparsa. Ciò che si manifesta è piuttosto un disallineamento profondo tra i linguaggi, le forme e i contenuti dell’annuncio ecclesiale e le attese delle nuove generazioni. Mentre la tradizione cristiana continua a proporre percorsi consolidati, radicati in secoli di esperienza, i giovani cercano autenticità, orizzonti di senso e strumenti per abitare un presente fragile, segnato da smarrimento esistenziale, complessità relazionali e precarietà lavorativa. Il grande sfondo sul quale si proietta il compito educativo di un cristiano è il cambiamento antropologico. Gli uomini stanno interpretando se stessi con categorie diverse da quelle a loro familiari. L’antropologia a cui la Chiesa ha tradizionalmente fatto riferimento e il linguaggio con il quale l’ha espressa sono una base solida, frutto anche di saggezza ed esperienza secolare, tuttavia, essa è chiamata a confrontarsi con l’enorme sfida antropologica altrimenti, l’evangelizzazione rischia di trasformarsi in una decorazione superficiale. La fede, con le sue categorie classiche – vita eterna, liberazione dal peccato, appartenenza a una comunità universale – sembra non rispondere alle urgenze quotidiane dei ragazzi, che domandano sostegno contro ansie, pressioni sociali e solitudini. «Non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone» (Evangelii gaudium, n.155) per non correre il rischio di trasformare l’educazione e la pastorale in un indottrinamento insipido, in una frustrante trasmissione di norme morali perché da qui nasce la percezione di un messaggio lontano, quasi irrilevante. Gli educatori devono lasciarsi sorprendere ogni giorno con cuore aperto, non sigillato in una specie di museo di conoscenze acquisite, di metodi assodati, in cui tutto è perfetto; devono essere «audaci e creativi» non funzionari fondamentalisti, legati a rigide pianificazioni. La «caratteristica di una speranza attiva», è una creatività che si fa carico della realtà, e trova la via per manifestare qualcosa di nuovo. I giovani non hanno smesso di interrogarsi sul senso della vita e su Dio. Anzi, in molti casi la ricerca spirituale si intensifica, ma assume forme nuove, non facilmente riconducibili ai percorsi ecclesiali tradizionali. È una religiosità fluida, personale, segnata solo da esperienze forti e trasformative, occasioni privilegiate di confronto con il mistero. Questo cammino, tuttavia, rischia di rimanere frammentario: un mosaico incoerente di pratiche e convinzioni, un “cocktail spirituale”, un’esperienza intensa nell’immediato, ma fragile nel tempo, incapace di consolidarsi in appartenenza stabile e comunitaria. In questo scenario, il ruolo degli educatori risulta decisivo. I giovani non cercano lezioni frontali o figure che parlino dall’alto di una cattedra. Hanno bisogno di testimoni autentici, capaci di “camminare insieme” a loro, condividendo la quotidianità, le fatiche e le speranze. È questo stile che genera fiducia e apre alla possibilità di una vera esperienza di fede. L’educatore generativo non trasmette solo contenuti, ma propone un incontro vivo, incarnato, che tocca il cuore prima ancora della mente. Iniziative che intrecciano dimensione fisica e spirituale, o attività di servizio, che uniscono fede e responsabilità sociale, sono “esperienze generative”: relazioni che nascono dal cuore e sono capaci di suscitare vita nuova, umana e spirituale. La distanza tra giovani e Chiesa tocca in profondità la cultura e la società. In un mondo segnato da crisi demografica, individualismo e fragilità relazionali, la possibilità di costruire legami autentici tra generazioni rappresenta una risorsa preziosa. La fede, non confinata a dottrina astratta diventa esperienza condivisa, luogo di coesione sociale e seme di speranza. In questo senso, la Chiesa ha davanti a sé una sfida decisiva: non difendere modelli che non parlano più, ma rigenerare la missione evangelica, non snaturare la fede, ma riconoscere che l’annuncio del Vangelo è un processo creativo, capace di rinnovarsi in ogni epoca, come avveniva nelle prime comunità cristiane. Il futuro passa attraverso questa alleanza tra educatori, comunità e nuove generazioni, dove non c’è paura del cambiamento, ma una grande fiducia nella possibilità di riscrivere insieme le parole del Vangelo dentro la cultura di oggi.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro