... tante delle sue opere tutte insieme mi ha riempito di gioia. Non ero ovviamente l’unica e molti visitatori si soffermavano a lungo nelle sale, tanto da creare quasi uno stato di affollamento (anche se le entrate sono state giudiziosamente contingentate): quando vedi una bella mostra, torni molte volte sui tuoi passi.
Mi è stato fatto notare che vi erano molte coppie âgée, perché forse di primo acchito Hopper trasmette una certa malinconia e quel sottile senso di solitudine che alle volte associamo alle coppie che stanno a lungo insieme… ma non sono d’accordo. Nel lavoro di Hopper vi è un che di sospeso che richiama a una certa dimensione contemplativa, qualcosa che definirei una sorta di preghiera "in pittura". Le sue composizioni sono austere, senza fronzoli.
I tanti paesaggi senza alcuna presenza umana esposti in mostra sono invece imperiosi e direi passionali, vi è pura commozione riguardo alla grandezza della natura, colori vividi, potenza sublime. Anche alcune sue opere su carta esprimono quel sentimento di pura felicità che ti coglie nel contemplare il mare, l’acqua che si infrange sulle rocce, il vento tra gli alberi. Insomma, la bellezza.
Peccato che, finita di estasiarmi e arrivata al bookshop per acquistare un catalogo della mostra, io abbia notato sugli scaffali dei gadget con riprodotte alcune opere di Hopper. Il mio massimo imbarazzo è stato quando ho alzato un vassoio in plastica rettangolare, non grande, in cui era riprodotto (tagliato) un quadro che avevo particolarmente ammirato in mostra. Eh no, mi sono detta, così non va. È evidente che una mostra di questo peso abbia avuto costi importanti, ma perché un museo deve arrivare a ridursi a fare del commercio da chiosco di souvenirs? Il problema è gigantesco perché investe ogni settore della cultura, diventata ormai prêt-à-porter.