... in risalita – come dappertutto. Politicamente, in Belgio, la confusione rimane e la garbata premier “d’emergenza” è stata prorogata per sancire l’indisponibilità di alcuno a rimpiazzarla: troppa responsabilità e troppo pericolo in vista di nuove elezioni, probabilmente.
La popolazione viene distratta dalla vicenda della figlia naturale del precedente monarca, Alberto II; Delphine Boël ha visto ristabilita in sede giudiziaria la sua integrazione nel nome e nella famiglia reale con titoli e cognome compresi aspirando così a stampigliare un "Pricipessa Delphine Sassonia-Coburgo" sulle carte da visita. L’accesso all’appannaggio e alla linea di successione è oscurato da una legge che evidenzia la differenza fra figli nati nella legittimità di un matrimonio o no – ah..., deliziosa regalità dei rois catholiques... Per ora mi rimane poco chiaro il trattamento dell’asse ereditario. Comunque, l’accenno ai reali è doveroso per il fatto che le riflessioni partono da una lunga giornata nell’elegante circolo artistico e letterario francofono dedicato ai monarchi, il cui palazzo troneggia sulla parte opposta alla sede del club, e al pranzo servito nella sala in cui con una certa austerità pendono i ritratti dei re dei belgi succedutisi negli ultimi 200 anni, tanto sono giovani il paese e la sua monarchia d’importazione.
È quindi in un sabato di fine estate fra stucchi e lampadari e specchiere che riflettono l’architettura nobiliare di Francia e dell’Austria della fine del XVIII, e autoritari olii di grande formato, che si sono succedute le considerazioni di un poker di commissari europei e di altri bei e noti nomi della politica europea, ad uso di riflessioni che da anni orientano le decisioni dell’agenda economica, e in parte di quella politica, italiana. In un poggiolo elettronico, consentito dalle tecnologie affinate dalla reclusione del virus, un selezionato numero di influencer istituzionali (definizione corrente del vecchio e più onesto “lobbisti”) ha così assistito alla giornata europea di uno dei più ambiti forum internazionali. Come stare a Siena su uno dei preziosi balconi di Piazza del Campo per il Palio dell’Assunta, conoscendo la storia delle diverse contrade e immaginando con buona approssimazione i traffici e i segreti da retrobotteghe che prendono corpo giù sulla piazza; ma mai come quei veri privilegiati che gironzolavano dietro le finestre del Monte de’ Paschi di un tempo, circondati da tavoli ingombri di opulento “rinfresco” e che, magari, quei traffici li avevano concepiti, rinfocolati e accuditi.
Comunque, anche senza essere particolarmente furbi si capisce subito che i takeaway delle chiacchiere udite portano a quattro punti fondamentali.
– La rivoluzione ecologica presentata da Ursula von der Leyen arriva in questi giorni a definizioni di massima vincolanti per la riduzione delle emissioni. I tecnici guardano a un possibile e conseguibile -55% rispetto ai livelli di riferimento del 1990 ed entro il 2030 (“Anche se poi fra dieci anni a chi vai a rinfacciare lo smacco se non ci si arriva... ti ricordi le ambizioni del 20-20-20 di appunto poco più di 10 anni fa?”), ma la realtà dei fatti ha a che fare con i PIL in calo nell’Unione. Un solo esempio: il mercato dell’auto e del suo indotto pietrificati; c’è bisogno di manifattura vera e recupero di occupazione solida. Il lavorio attorno a sostanziali correzioni di rotta della ripresa “green” è incessante, come anticipato già in questi post alla fine dello scorso anno. Anche la fine della presidenza di turno tedesca rincorrerà ancora, prima del suo termine a fine 2020, misure climate-friendly di bandiera, ma come tutti si troverà a dover rassicurare il fronte manifatturiero interno. Con buona pace di Frans Timmermans che la vastità del Green New Deal l’aveva auspicata, pianificata, strombazzata e nuovamente ribadita, come irrinunciabile premessa per la ripresa europea e il rinascimento economico. Ci sarà un voto parlamentare sulla Climate Law a cui si sta lavorando, ma metterà conto fare delle gran tabelle e verificare quanto è stato smussato nelle settimane del Corona, nelle speranze di riavvio poi frustrate dalla ripresa dei contagi. E dal baratto che si profila: rischio di contagi di massa contro nuovi lockdown. Certo, ci sono i buoni propositi della Commissione di uniformare i provvedimenti su scala europea e di procedere, solo se indispensabile, a chiusure localizzate e limitate. Ttzée..., ti voglio vedere con la frammentazione decisionale italiana, tedesca, spagnola e perfino olandese – e il dibattito colto e raffinato, per ora, che già comincia sulla “preminenza esecutiva” che l’Europa dovrebbe imporre. Mi dice un esile diplomatico che mastica numeri al Consiglio: l’economia oggi non può ancora tornare al motore a iniezione che si è grippato; ha bisogno di un eccellente carburatore che misceli gl’ingredienti della possibile ripresa. E del carburatorista che sappia far girare, con orecchio fino e cacciavite, la farfalla, la vite del diffusore e quella del minimo. Rimane la scelta fra la miscela grassa e quella magra, ma si sa, è un fatto di temperatura, umidità e pressione dell’aria. Cioè, di volontà politica.
– Poi tutti si sono aggrappati al “digitale” e al 5G. Senza preamboli: è geniale, serve e se non lo utilizziamo subito e da subito siamo fessi. Il problema di Huawei è politico, non economico; e va risolto in chiave complessiva. Gli altri Paesi ci lavorano da tempo, sono più avanti di noi. Io personalmente col 5G ho a che farci dal 2017 e dalle prime riunioni per capire se nel mio settore di principale interesse, la distribuzione intelligente di energia elettrica ai cittadini, abbia un ruolo oppure no. Ce l’ha ed è fondamentale. Scegliere di non porsi il problema o di abborracciare scelte strategiche per il presente e per il futuro breve, non è una soluzione. Per stare con un esempio dall’automotive, sarebbe come decidere di produrre auto senza catalizzatore fino all’ultimo momento disponibile prima dell’obbligo; oppure con un solo airbag, al posto di guida, lasciando i passeggeri galleggiare nell’area dell’optional. Già vissuto; già visti gli effetti... C’è chi mi racconta un nesso fra la “sistemazione” estiva del dossier della fibra e della banda larga con il suo “operatore unico” e le diverse soluzioni possibili per “sistemare” le cose anche con Huawei, ma siamo, fino ad assenza di riscontri reali, nella proiezione di desideri e troppo vicini a fantasiosi scenari. Il digitale e le connessioni 5G sono il sine qua non del salto di qualità tecnologico che ci consente di rimanere al passo e non ampliare il baratro digitale che divide il paese tecnologicamente adeguato da quello che non lo è; e un’Italia connessa, e non solo a pezzi e pezzetti, con altri paesi, forse nel complesso non messi meglio di noi, ma più coerenti e con programmi certi e già in atto.
– A seguire c’è la Brexit e la sua soluzione con o senza accordo. Un diplomatico, non italiano, alle prese con i preparativi del vertice EU di metà ottobre, evidenzia come non veda fra gli italiani un dibattito appassionato sui destini del Regno Unito, di là di una generica copertura del tema e delle agende in composizione. Questa è anche l’impressione di molti e, comunque, fra quei molti una buona parte rimane appesa all’aspettativa che sia ancora una volta la leadership della signora Merkel e della Germania a condurre in porto senza eccessivi scossoni la Brexit e a compierla in via non traumatica entro la fine di dicembre e della sua presidenza di turno. Un fatto simbolico, ma rilevantissimo per la diplomazia tedesca. Facciamo male a non occuparcene con un po’ più di passione. La Brexit cambia profili nella finanza e nei servizi, ci porta un attore protagonista per natura e un potente concorrente nel commercio e nei servizi alle porte di casa, se il sogno UK di risorgere come moderna, digitalizzata versione dell’impero dovesse concretizzarsi dopo l’inevitabile periodo di difficoltà che l’Inghilterra dovrà superare.
– La Brexit e il suo esito di ridistribuzione di pesi all’interno dell’Europa come continente e come Unione andrà anche a giocare un ruolo sull’effettiva considerazione che del continente e dell’Unione se potrà avere a livello geopolitico globale, per usare un’espressione forbita. Il rapporto dai “servizi esterni” è rispettabile ma ritenuto frequentemente dispersivo e fuori fuoco. In ordine cronologico inverso, Afghanistan e negoziati infra-afgani dopo un discorso di condanna dell’attentato di pochi giorni prima nei confronti del vicepresidente Seleh; condanna degli arresti arbitrari in Bielorussia; considerazioni sul comportamento della Corte criminale internazionale; eccetera. “Vediamo ancora poco sul Mediterraneo, sulla Turchia, sul Nord Africa, sul Medio Oriente: dovrebbe parlarne ogni giorno, essere sul pezzo”, è il giudizio di un osservatore di primo piano con un passato recente fra le feluche comunitarie, cosciente però che nette prese di posizione condivise fra i 27 non sono né facili né possono essere tempestive. Così, nonostante le attività diplomatiche dell’Unione, la consapevolezza di essere uno spazio che conta un quarto della Russia, la metà del Brasile e meno della metà di Usa, Canada e Cina rimane. Siamo voce in un mondo dove l’86% della popolazione non è europea e in cui due terzi della popolazione sta in Asia. Il realismo dovrebbe servire a comprendere per non soccombere. Gli sforzi per difendere la nostra civiltà, la cultura, le religioni e le strutture sociali che abbiamo sperimentato nei secoli, non sono sufficienti – e la sfida che ci viene costantemente portata in questo senso andrebbe affrontata con maggiore consapevolezza e una rinnovata unitarietà senza complessi e senza timori.
Alla fine, sul ramo del lago di Como che volge a settentrione, mancava il Signor CEO, con il suo disincanto e il suo cinismo, ma pure con la capacità di essere sovranazionale e associare la visione del presente locale con la visione globale, rintracciando i fili rossi e multicolori del futuro che ci aspetta. O forse mancava solo l’altrettanto e speculare disincantato deambulare del suo intervistatore ricorrente, capace di istillare il dubbio, categorico e finale, sulle pirlate che, di tanto in tanto, da ambo le parti della sala, dalla cattedra ai diligenti e distanziati banchi d’ascolto, si posavano maestose per essere ricambiate da sparute richieste di chiarimento o commenti inusitati.
Rimane il dubbio sulla determinazione circa la direzione da prendere; un dubbio maturato da seniority immaginativa ed esperienza esecutiva. Il dubbio che queste mancheranno ancora in un autunno istituzionalmente sulla difensiva e politicamente dimesso, e dopo la mancata fiammata sperata (e promessa) dall’attizzatoio della presidenza di turno tedesca che nella sua prima metà è apparsa più compilativa che visionaria; più a catenaccio che disposta a puntare sulle ali e sul libero. Da noi, mancherà poi una leadership incontestabile: quel combinato di chiarezza e di istituzionalità per imporre con l’autorevolezza il silenzio sui ragionamenti a vanvera e all’inseguimento delle vanaglorie. Il vero lusso è potersi consentire il lusso di accettare un tale personaggio. E il vero lusso è che dopo avere sprecato Monti, ne abbiamo un altro a portata di mano il cui legittimo timore è quello di vedersi sprecato a sua volta. Dicono: ah...! se Super Mario avesse 20 anni di meno... Ah...! se Monti fosse 20 anni più giovane... Il delitto impunito è non essersene accorti compiutamente vent’anni fa. E qualcuno, magari proprio “in Europa”, dovrebbe nuovamente spiegarlo al ragazzo-spazzola.