Per quanto riguarda i miei "valori", sono ancora quelli, non ho subito molte oscillazioni, e se ci sono stati degli aumenti sono sempre stati concordati con le gallerie, comunque non li ho mai cercati né "coltivati".
Mi rendo conto, però, che vendere è a sua volta una forma d’arte. Soprattutto se si vende qualcosa di così sfuggente come l’oggetto artistico, la cui verità, come dice Angelo Crespi in “Nostalgia della bellezza”, è difficilmente misurabile. Ormai è passato il messaggio che un’opera vale se è costosa, sebbene, pensandola così, si dovrebbe escludere non poca parte della storia dell’arte, poiché l’unico vero metodo per stimare le opere è semmai il trascorrere del tempo.
Alcuni artisti, infatti, sono stati riscoperti post-mortem, e parliamo anche di giganti. Restiamo comunque in un’epoca in cui è rimasto quasi solo l'aspetto economico a definire il valore delle cose. E così le Case d’asta spopolano, perché non richiedono nessun impegno o indagine sul percorso dell’artista ma propongono un modello apparentemente più oggettivo e cioè la “stima”. Non informano realmente, se non in modo povero, con poche notizie su tecnica, misure, anno, autenticità. E quasi nient'altro. Ed essendo l'asta oramai sempre a portata di click, tutti vi possono partecipare, da qualsiasi latitudine, previa registrazione. In alcuni casi, le Case d’asta per invogliare gli acquirenti mettono prezzi fuori mercato, ma verso il basso.
Purtroppo o per fortuna - perché vuol dire che chi possiede una mia opera vuole ammirarla ancora in casa propria - non faccio e non subisco troppi passaggi in asta, fatto salvo quando c'è qualche passaggio "generazionale" nelle famiglie di collezionisti. Francamente non me ne occupo. Gli incanti - in arte - sono altri.