Vita d'artista


Icarus

“ L’atto del vedere ha a che fare con la verità”. Wim Wenders

Qualche giorno fa ero all’Hangar Bicocca per “Icarus” l’ultima mostra dell’artista giapponese Yukinori Yanagi, una mostra di forte impatto, come del resto tutte quelle che ho visto negli ultimi tempi lì, perché essenzialmente costruite come esperienze immersive e con un senso quasi spettacolare. I grandi spazi dell’Ansaldo Breda devono per forza contenere opere di artisti che si confrontano con lo spazio in modo muscolare, anche se alcuni di loro, come nel caso di Yanagi, riescono a darne anche una dimensione poetica. 

Un tema dominante nelle ultime mostre che ho visto, anche qui presente, è quello di un mondo in cui i rifiuti la fan da padroni, e nella loro crudezza sono parti fondanti di queste installazioni, direi a volte in modo brutale. Di fatto siamo posti nella condizione di guardare ciò che non vorremmo mai vedere, i nostri scarti.

Nel caso di Yanagi, ciò che colpisce già dall’ingresso della mostra è un grande occhio animale, precisamente di Godzilla (il mostro inventato in Giappone a metà degli anni ‘50) , in cui appaiono in proiezione delle immagini di esplosioni, test nucleari, funghi atomici: l’occhio troneggia su carcasse di macchine, una barca, dei container, detriti, barili con il simbolo radioattivo, mobili, sacchi di sabbia. Sembra proprio un day after della cultura, e il mito di Icaro, che avvicinandosi troppo al sole diventa responsabile della propria caduta, ne è l’emblema. Nello spazio centrale delle Navate, un dedalo di container a cui si accede appena dopo, è un’installazione monumentale e labirintica ma anche un po’ claustrofobica, contenente una serie di proiezioni: la prima che si incontra è proprio quella di un sole, una sfera infuocata che ruota, accompagnata da un rumore assordante. Sugli specchi che determinano il camminamento, si leggono dei versi della poesia “Icarus” di Yukio Mishima dal libro “Sole e Acciao” del 1968. Il percorso buio e soffocante si conclude in modo inaspettato con la luce naturale proveniente da un’apertura in alto, fuori dallo spazio espositivo, una finestra di cielo di Milano, che si riverbera su uno specchio inclinato. Meno male.

Nel bookshop trovo molti libri sullo sguardo, o gli sguardi, e mi colpisce in particolare quello di Wenders, sull’atto del vedere: l’immagine non impone nessuna opinione sulle cose. A suo parere il vedere, a differenza del pensiero, sviluppa un rapporto autentico con le cose, un’attitudine sganciata da ogni giudizio, un percezione pura. Forse è per questo che non siamo più in grado oggi, di concepire la bellezza? O la vera bellezza, viene dai rifiuti ?

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