Tutti i media continentali si son sbracciati per difendersi dal mongolo d’oltreoceano, fido scudiero dell’Attila arancione che sede alla Casa Bianca. Ma adesso, che finalmente i neuroni cominciano ad accendersi, sorge vago il sospetto che JD avesse ragione: del tutto o in parte è discutibile, ma la sua critica è fondata.
In America il diritto di espressione include quello di gridare, starnazzare, bestemmiare ed insultare: puoi dire tutto quello che vuoi, in un luogo pubblico, finché tieni le mani a posto. Ho assistito a manifestazioni coi pro-Palestinesi su un marciapiede e pro-Israele sull’altro: cori di insulti, trombe, tamburi che neanche i Pink Floyd dei tempi migliori. Un poliziotto sovrappeso li tiene d’occhio mentre fagocita l’ennesima ciambella, e qualche passante o corridore come me gli passa attraverso divertito. Loro restano lì per ore, liberi di parlare, cantare, urlare ed insultarsi.
Dall’altra parte dell’oceano invece non puoi offendere il prossimo, ed in paesi come UK, Germania e Francia, finisci in prigione o ti arrivano multe salate. Ora, un conto è minacciare una persona, incitare alla violenza fisica, esporre documenti segreti o pornografici, per cui sia in America sia in Europa sono previsti reati precisi. Ma l’insulto alla sensibilità della persona, specie se woke, è eccessivo. In Gran Bretagna oggi si arrestano 30 persone al giorno per insulti sentiti in strada o su internet: il miglior discorso di sempre sulla libertà d’espressione, quello dell’inglesissimo Mr. Bean, non è bastato.
E cosa dire della Germania, che taccia di razzismo ed estremismo il secondo partito politico del paese, o della Francia che manda in prigione chi insulta i politici, e denuncia di apologia di terrorismo chi sbandiera per la Palestina?
Il problema di una legge che vuole proteggere dall’insulto è che crea un incentivo per i buoni e giusti a denunciare l’offesa, ed un altro per le forze dell’ordine a lasciar stare i veri malviventi per inseguire qualcuno sui social media. In poco tempo, questo sforzo per proteggere la sensibilità delle anime pie si ritorce come un boomerang, ed alcuni termini diventano tabù, indiscutibili. Provate ad argomentare che a Gaza ci sia un genocidio, per toccare con mano quanto una sola parola possa diventare radioattiva. O provate a mandar via un turista insolente dal vostro ristorante, se siete sfortunati con la nazionalità del tipo: una bomba antisemita per la vostra attività commerciale.
La strigliata di JD Vance va riconsiderata per quello che è: un caro invito a tornare al dibattito rumoroso, fastidioso, offensivo della democrazia, che sarà sempre migliore del silenzio della censura del totalitarismo. E se abbastanza cittadini formano un partito sulla base di idee particolari, la soluzione non è classificarli come terroristi, ma dibattere e convincere più gente possibile a votare per idee diverse. I leader europei sono ovviamente liberi di insultare JD Vance a piacere, ma non comprendere la sua strigliata sarebbe un grave errore.