Da qui due giudizi importanti. Il primo riguarda le infinite possibilità di eventi casuali, mossi da ragioni particolari e del tutto imperscrutabili agli analisti. Le antipatie personali, il grado del senso di ingiustizia, l’inganno a fini personali minuscoli o meschini, l’incapacità di parlarsi o quella di trovare improvvise aperture sono alcuni dei fattori imponderabili di questa storia e della storia. Nelle concitate ore della marcia su Mosca, gli analisti si affrettavano a spiegarci quanto non avevano capito mentre i complottisti dell’uno e dell’altro campo – del Partito Unico Bellicista (PUB, secondo l’espressione del giornalista Nico Piro) e del Partito Unico Putinista (PUP), due curiosi partiti unici – modificavano progressivamente le loro teorie, sempre perfettamente razionali, sempre onnicomprensive, sempre giuste, per inserire Prygozhin “il macellaio” tra gli eroi, anzi no macellaio, o Pryghozin il “patriota” tra i servi della CIA, anzi no patriota. Il problema degli analisti seriosi, come dei tifosi dei due partiti, è che hanno una visione stretta di razionalità, per cui i conti devono sempre tornare e sempre secondo le loro misure prestabilite. Ragionevolezza imporrebbe di sospendere il giudizio e aspettare fino a quando non ci sono dati certi. E ragionevole sarebbe rilevare che la quantità di caso e di imprevedibilità nella storia è altissima perché i motivi personali sono spesso imperscrutabili e sono le persone che fanno la storia, nel bene e nel male.
La seconda caratteristica, ancora più generale e filosofica, è che in questi casi emerge come nell’educazione occidentale si sia dato troppo peso all’analisi, facendola spesso coincidere con l’intero uso della ragione. Oltre all’analisi, il ragionamento sa operare delle sintesi, sa ragionare creativamente attraverso gesti, corpo, azioni. Così come sa rimanere ragionevolmente nel vago, nel presentimento, nella fiducia o sfiducia non definita eppure tanto importante nelle relazioni umane. L’aver fatto coincidere la ragionevolezza con l’analisi è il problema di tutto il nostro insegnamento occidentale. Pensiamo di sapere fare comunicazione quando sappiamo analizzare quella altrui. Pensiamo di conoscere la società quando sappiamo analizzarla sociologicamente. Pensiamo persino di sapere ragionare matematicamente o filosoficamente quando sappiamo l’analisi matematica e la filosofia analitica. E ovviamente pensiamo di conoscere la politica quando sappiamo elencarne analiticamente i fattori. Ma ogni analisi è sempre a posteriori: prima c’è la sintesi, la creatività, l’execution, il gesto libero e pieno di significato.
Sarebbe ora di cambiare il modello epistemologico, dando spazio a questa parte tanto importante della nostra mente. Diventeremmo più aperti e curiosi, più possibilisti e acuti, più decisi e più umani. Ma è il cambiare la testa che ci affatica: più facile rimanere come si è, analizzando tutto quando è già successo, sempre un passo indietro alla vita, sempre a giustificare tutto perfettamente e inutilmente. Fino al prossimo caso.