Di Pascali ho sempre amato un certo senso ludico e sperimentale della scultura, anche se per anni non si è più visto nulla di suo in giro: la sua dimensione libera, i materiali nuovi, artificiali, spesso concepiti per l’industria, tipici degli anni ’70, nelle sue mani diventano gioco e pensiero artistico ancora attualissimo. Penso ai “Bachi da setola” (1968) fatti con una serie concentrica degli scovoli in nylon di comune uso domestico, a simulare in scala gigante dei bachi da seta striscianti, come fosse una meraviglia della natura. Si vedono infatti alcune foto di lui in mezzo alla natura con i bachi dai colori sgargianti, che mettono insieme humor e freschezza. Forse perché era giovane, forse perché era bello, o perché proveniva dalla televisione, si portava appresso uno spirito poetico e leggero, fatto di poco ma al tempo stesso piuttosto rivoluzionario.
“ Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo.” Ha dichiarato poco tempo fa Miuccia Prada, ma, benché il brutto come novità diventi la regola ormai in molti degli spazi espositivi più prestigiosi al mondo (quasi che il nuovo potesse diventare esso stesso una categoria estetica) in qualche modo si sconfessa con la mostra di Pascali. Perché il suo lavoro, benché “nuovo” è pieno di poesia e di bellezza: penso al ragnone dal titolo “La vedova blu” del 1965, fatto con materiale sintetico, che un po’ironizza sulla scultura monumentale di stampo classico, ma al tempo stesso non inquieta perché è di fatto una creatura fiabesca, che vien voglia di accarezzare, un grande peluche blu elettrico. E anche la visione sbarazzina di “32mq di mare circa” in cui 30 vasche basse di alluminio riempite di acqua colorata blu, di diversa gradazione, che interagisce con l’ambiente ma continua a far sognare, appare davvero un gioco di bambini, che mettano insieme le loro energie poetiche e primordiali, immaginando il mare. Ecco: una freschezza, una gioia e una libertà di spirito che non c’è più.