Il Cameo


Il Cameo intervista

È nato il Cameo Intervista a cadenza mensile. Una giovanissima studentessa di lettere antiche (22 anni), con rubrica su Zafferano, intervista un novantenne ex CEO di multinazionali, oggi editore e scrittore, residuo di un Novecento in via d’estinzione. È un’intervista a spicchi, per argomenti che di volta in volta sceglie l’intervistatrice, che si snoderà, mese dopo mese, cercando di soddisfare le sue curiosità intellettuali.

    1. So che interessa solo ai 20.000 abbonati, ma cosa ne sarà di Zafferano quando lei non ci sarà più?

È già deciso. La testata vivrà, passando ai fondatori rimasti. Un’eredità senza vincoli, faranno ciò che reputeranno giusto per Zafferano. Zafferano è il simil quotidiano (settimanale) del futuro. Ha un modello organizzativo geniale, perché è a “burocrazia zero” e ad alto “tasso affettivo” fra chi scrive e chi legge. Tecnicamente non può fallire, grazie al suo conto economico-stato patrimoniale impeccabile. Il suo linguaggio volutamente trasparente e sincero rispetto verso tutto e tutti, si rifiuta di compiacere chicchessia, lettori compresi. L’Editore, e chi ci scrive, sono tutte persone libere e perbene, senza interessi nascosti o secondi fini. Non sono stakeholder di nessuno e non fanno parte di nessuna élite!

2. Quando aveva 22 anni, come immaginava che sarebbe stato il futuro?

      Meraviglioso! Un anno prima avevo conosciuto Lilli. Da allora sono passati settant’anni, e così è stato.

3. Chi sognava di diventare “da grande”?

       L’ala destra del Toro! Scoprii poi che era tecnicamente impossibile, a prescindere dalle eventuali capacità (che non avevo), il mio baricentro era

       troppo alto per un calciatore d’allora.

4. Il mondo di oggi soddisfa le aspettative che lei aveva un tempo?

      Sono sempre stato proiettato al “futuro”. A volte mi piace sfogliare il “passato”, come si fa con le cartoline dagherrotipo di quando sono nato. Il

      “presente” mi interessa poco, lo considero banale routine per prepararsi al “futuro”. Anche a novant’anni è così.

5. Come crede che siano cambiati i giovani dalla sua epoca all’epoca attuale?

      Onestamente non le so rispondere.

6. Secondo lei, cosa dovrebbero imparare i giovani d’oggi dai giovani della sua epoca?

       Posso dirle cosa è successo a me. Ho seguito i suggerimenti di mia mamma e di mio papà, entrambi operai Fiat. Erano due animali politici, molto perbene, si amavano tanto. Erano antifascisti, anticomunisti, anti partito d’azione. Erano anche anticlericali, ma la mamma volle che la quinta elementare lo facessi dai Fratelli delle Scuole cristiane, e così a dodici anni divenni cattolico. La mamma ne fu felice, pur rimanendo anarchica. Per loro l’educazione era leggere, scrivere, riflettere prima di parlare; ripetevano spesso “Capire è difficile”. Era l’esempio, diventerà il mio motto: “Spingere la carriola, con energia, con determinazione, guardando sempre avanti, ma mai e poi mai tirarla!”. Questo modello educativo senza ombre con me ha funzionato.

7. Qual è il primo ricordo della sua giovinezza che le viene in mente?

       Lia, una ragazza sedicenne dell’alta Garfagnana, aveva occhi da cerbiatta.

8. Il giovane che è stato ha contribuito alla costruzione della persona che è adesso? Come?

      Il come non lo so, ma penso di sì!

9. Se potesse tornare indietro mantenendo la consapevolezza e la maturità che ha oggi, cosa farebbe?

      Eviterei la “Bomba di Aulla” del 1944, l’anno terribile senza poter parlare per lo choc, la susseguente balbuzie durata dieci anni. Avrebbe potuto uccidermi, invece l’idea di scriverci un libro, realizzato solo ottant’anni dopo (Guerra e Poesia) e l’aver passato sette anni (negli Ottanta) come importante esponente civile del mondo militare italiano, mi fece capire le guerre. Non le fanno i militari, ma i politici e gli autocrati per difendere o aumentare le ricchezze di pochi, usando come carne da macello i poveri. Ha notato che le élite del business, del management, della politica, usano lo stesso vocabolario di taglio guerresco? Mi creda, è brutta gente.

10. Se potesse modificare qualcosa della sua giovinezza, cosa farebbe?

       Nulla, ho avuto una giovinezza povera, però felicemente ricca.

11. Se si guarda indietro, quale crede che sia stata la sua missione?

      Sposare Lilli, avere Luca e Fabio, le mie nuore-figlie, i quattro nipoti (Virginia, Carla Maria, Jacopo, Ada Rosa). Poi quella di fare la mia vita da uomo intellettualmente libero, cercando di disturbare il prossimo il meno possibile, rifiutando però ogni forma di sudditanza verso i potenti.

12. Cosa pensa dell’evoluzione tecnologica? Sarà la rovina dell’uomo?

      Assolutamente no! Tecnologia e Scienza non mi inquietano, gli scienziati veri più studiano, più scoprono, più cambiano idea, checché ne pensino i colti. Sono entrambi strumenti molto utili per l’umanità, da gestire con intelligenza e alta moralità. Per un certo tempo, ho studiato l’applicazione della Chat GPT al giornalismo, uno strumento utile in termini di efficienza, ma nulla più. Pensare di sostituire una persona con un algoritmo è semplicemente demenziale, a meno che la persona-lavoratore e il suo capo non siano degli esaltati. Il grande matematico Bruno de Finetti (1906-1985) sosteneva come noi umani dobbiamo proporre sempre nuovi scenari, perché a noi, non alla Ia, tocca disegnare il nostro futuro. Da un decennio, nel mio lavoro, non faccio più analisi, ma disegno scenari. E poi, tranquilli, IA non sa cos’è l’amore; quindi, non potrà mai far parte dell’umanità!

13. Quale insegnamento si sente di dare ai giovani d’oggi?

      Nessuno. Lei ed io lavoriamo insieme da un paio d’anni, lei impara dai miei atti, io imparo dai suoi. La vita è scambio, più la differenza di età è alta, più lo scambio è vantaggioso, per entrambi. Io la penso così.

14. Se le fosse data la possibilità di decidere tra il mondo di oggi e quello della sua giovinezza, in quale sceglierebbe di vivere?

       Può piacerci o meno (a me piace), ma tutti siamo figli e prigionieri del nostro tempo. L’importante è viverlo in libertà!

15. Le sarebbe piaciuto avere 90 anni nel mondo in cui viveva quando ne aveva 22?

      No, questo è il mio tempo, sono stato sempre felice, seppur in modo diverso al mutare delle condizioni. I dolori, tanti, li ho sempre vissuti come passeggeri.

16. Lei crede che homo homini lupus?

      A differenza di quello che sosteneva Hobbes, considero l’egoismo semplicemente una perdita di tempo.

17. Come crede che si possa contribuire a contrastare l’impoverimento culturale vissuto dai giovani (e non solo) di oggi?

      Non penso ci sarà mai una app da scaricare, è un problema che ognuno di noi deve progettare e smazzarsi da solo. È il bello della vita libera!

18. Come crede che si possa incoraggiare la gioventù a interessarsi di politica?

      Voglio bene ai giovani, i miei quattro nipoti sono tutti della Gen Z, spero che non si interessino di politica. Mi sfugge come si possa ambire di fare i maggiordomi alle miserabili élite (di destra, di sinistra, di centro, tutte estremiste in modo diverso) che oggi governano il mondo, in Occidente e in Oriente.

19. Come crede che si possa sollecitare lo spirito critico dei giovani d’oggi?

       Lo spirito critico è un sottoprodotto di ben altri, e alti, valori, presuppone conoscenza, cultura, personalità, e una postura, sempre più rara, da hombre vertical.

20. Cosa cambierebbe del mondo in cui vive?

       Il mondo in cui vivo è fatto dalla mia famiglia, dai tanti amici che mi ritrovo anche in tarda età, della gioia di studiare cose nuove, dallo scrivere. Mi piace, quindi non potendo cambiare tutto, non cambierei nulla.

21 Mutuando una frase celebre di Isaac Singer è come se lei avesse rifiutato di perdere l’accento (da operaio) perché quell’accento la definiva.

      È così, sono orgoglioso di essere nato operaio (povero) e felice di chiudere da operaio (benestante), senza aver mai tradito la mia classe sociale.

 22 Cosa desidera lasciare in eredità al mondo del futuro?

       Zafferano, un figlio avuto in tarda età, ma tanto amato. E poi un personaggio del mio libro più crudele, Achille K. nel quale mi sono specchiato per tutta la vita, uno semplicemente perbene, che ha rubato la K. allo scrittore-filosofo in cui il XX secolo si è giustamente identificato.

21. Perché più crudele?

      Lo rileggo spesso, come fosse un richiamo della foresta, ogni volta provo brividi di terrore, ma non ne posso fare a meno. Lo legga, sono curioso di scoprire quale effetto avrà su di lei. Per me è stato sconvolgente scoprire che per avere o mantenere la libertà si debba essere disposti a fare qualsiasi cosa, anche contro sé stessi. Come Achille K.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.