Tecnosofia


Perché siamo diversi dalle macchine

Nota dell'editore. Guido Saracco, professore ordinario di Fondamenti Chimici delle Tecnologie e già Rettore del Politecnico di Torino, “ingegnere di laurea, umanista di adozione”, da questo numero inizia la sua collaborazione con Zafferano. Grazie! E un benvenuto di cuore all’amico Guido!

La sua rubrica si chiama “Tecnosofia”. Non è solo il titolo del libro scritto a due mani da Guido Saracco e da Maurizio Ferraris pubblicato da Laterza nel 2023, ma il luogo culturale dove le scienze dell’uomo e della società, le cosiddette humanities, incontrano le tecnologie. È un legame non solo ontologicamente corretto essendo le tecnologie prodotto dell’ingegno umano, ma urgente per controllare eticamente gli esiti ultimi delle tecnologie nella società. Le prerogative proprie dell’essere umano sono oggi a rischio di abdicare parte della propria indipendenza a favore dell’intelligenza artificiale. È su questo sottile crinale che parte questa nuova rubrica di Zafferano per arrivare settimana dopo settimana dove la porteranno i lettori con il loro coinvolgimento.

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Perché siamo diversi dalle macchine

Una prima risposta potrebbe essere: perché noi creiamo le macchine e queste a differenza nostra sono riproducibili. Anche gemelli omozigoti sviluppano esistenze e con queste caratteristiche diverse, ma in realtà fin dalla nascita hanno ciascuno qualcosa di unico. Che cosa?

L’(auto)coscienza, il libero arbitrio che esercitiamo nel portare a spasso il nostro pensiero e nelle decisioni che prendiamo, ma soprattutto la capacità di provare sentimenti ed emozioni. Per qualcuno addirittura l’80% delle decisioni che prendiamo sono dettate da quest’ultime, poi magari diamo loro una veste razionale, ma nascono altrove.

La nostra curiosità e volontà di sperimentare nella vita reale, nel concepire progetti o nei sogni, ci portano a esperienze che danno corpo alla nostra coscienza.

Nel suo libro “In un volo di storni” Giorgio Parisi, Nobel per la fisica nel 2021, sostiene che noi, a differenza delle macchine, siamo addirittura capaci di pensiero inconscio e non verbale. Nell'incubazione di un problema, quando cominciamo a pensare o a dire una frase sappiamo già dove andremo a parare. Il pensiero inconscio è spesso alla base di idee radicalmente innovative, altra prerogativa propria dell’umano.

Le macchine non hanno coscienza, nè libero arbitrio e nè provano sentimenti, neanche quel ruffiano di chat-GPT che, dopo un po’ di apprendimento supervisionato da umani, oggi ci blandisce con un linguaggio gentile e prese di posizione “un poco democristiane”, si sarebbe detto un tempo.

Che cosa sia esattamente la coscienza, ancora non lo si può dire, ma che le macchine non la possiedano invece sì. Pensate che lo stesso Max Panck, premio Nobel per la fisica nel 1918, nel 1931 in una intervista al London Explorer dichiarò: “Considero la coscienza come fondamentale e la materia derivata dalla coscienza. Non possiamo guardare dietro le quinte della coscienza. Tutto quello che pensiamo, tutto quello che consideriamo esistente ha alla base la coscienza come postulato”. Il linguaggio è quello di un fior di scienziato, ma tutto sommato è comprensibile.

Eppure, oggi molti scienziati materialisti relegano la coscienza a un epifenomeno cerebrale, che si accompagna al cervello e non influisce più di tanto su di esso. Non la penso così, ma ve ne parlo per dovere di cronaca.

È invece cristallino che, a differenza nostra, le macchine non abbiano libero arbitrio. Non è colpa dei pugnali se Cesare è morto, ma dei congiurati che lo uccisero colpendolo con essi 23 volte. Non sono i droni israeliani colpevoli di avere ucciso insieme a ogni obiettivo primario nella striscia di Gaza un numero x di civili ritenuto accettabile, ma chi ha sviluppato il software Lavender e definito quelle soglie di accettabilità.

Diamo all’umano quel che è dell’umano, alle macchine quel che è delle macchine. Lo tsunami dell’intelligenza artificiale è davanti a noi, lo si cavalca, con coraggio e intraprendenza, imparando a essere più umani e non aspettando che passi “a nuttata”, perché a passare a quel punto saremo noi.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Emanuel Gazzoni (Roma): preparatore di risotti, amico di Socrate e Dostoevskij, affascinato dalle storie di sport
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Silvia Andrea Russo (Cremona): passione per l'antichità, la letteratura, la recitazione, la musica, il canto e la scrittura
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.

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