Tecnosofia


Il rischio di un’intelligenza artificiale cosciente

Ogni istante della nostra vita è attraversato da un’enorme quantità di stimoli sensoriali: visivi, uditivi, tattili, olfattivi e propriocettivi. Tuttavia, il cervello umano non registra tutto indiscriminatamente: filtra, seleziona, riduce il caos in schemi coerenti, costruendo significati attraverso processi evolutivamente raffinati.

In questo atto di sintesi, ciò che diventa “esperienza” è frutto di attenzione, memoria, emozione, contesto e finalità. Anche gemelli omozigoti sviluppano esistenze e con queste caratteristiche diverse, acquisendo una coscienza di sé e delle proprie percezioni, un libero arbitrio che esercitano nel portare a spasso il loro pensiero e nelle decisioni che prendono, una loro capacità di provare sentimenti ed emozioni.

Il concetto di coscienza è di per sé variegato ma qui vorrei parlarvi della coscienza psicologica, riflessiva e fenomenica, intese come consapevolezza soggettiva di sé stessi e dell’ambiente circostante, dei propri pensieri, delle proprie esperienze (il sapore del cioccolato, la gioia, il dolore). Secondo la maggioranza degli scienziati, questi ultimi tipi di coscienza hanno correlati neurali ossia in qualche modo sono associati a come funziona il nostro cervello. Attraverso i sensi incameriamo informazioni che poi il cervello elabora per generare la coscienza delle esperienze che proviamo. Il filosofo Daniel Dennett ha osservato che la coscienza non è solo una registrazione di input, ma un “teatro” dove le informazioni vengono trasformate in narrazioni integrate. La coscienza non è il dato, ma l’esperienza costruita a partire dal dato. Al contrario, l’intelligenza artificiale che oggi conosciamo, per quanto strabiliante, non ha corpo né prova emozione: non ha modo di attribuire significato agli stimoli, perché non ha un “sé” che li colloca in una traiettoria esistenziale.

Il concetto di libero arbitrio è legato alla coscienza. Usiamo infatti il nostro libero arbitrio per soddisfare la nostra peculiare curiosità, perseguire i nostri obiettivi, ed esprimere appieno la nostra volontà di concepire progetti e sperimentare, nella vita reale o nei sogni. Questo ci porta ad accumulare esperienze, emozioni e ricordi che danno corpo alla coscienza di noi stessi e ci consentono di accrescere le nostre conoscenze. È cristallino che, a differenza nostra, le macchine per ora non abbiano libero arbitrio. Inoltre, come suggerisce Andy Clark nella sua teoria della mente predittiva, il cervello umano non solo riceve dati, ma anticipa il mondo, confrontando costantemente le sue previsioni con l’esperienza. Questo modello è lontano dai sistemi attuali di intelligenza artificiale, che apprendono a posteriori su grandi masse di dati, ma non “attendono” il futuro come fa una mente incarnata.

Potrà un giorno l’IA emulare tutto questo se non addirittura provarlo? Sviluppare una coscienza di sé e delle esperienze che farà? Una propria volontà? Potrai mai insomma un’intelligenza animare un androide in grado di registrare informazioni dall’ambiente circostante, sulla base di un proprio modo di intraprendere indipendente, pur sulla base di un codice originario da noi umani programmato? Non potrebbe sviluppare una forma di coscienza e libero arbitrio, come il robot Caterina del celebre film del 1980 di e con Alberto Sordi, che vi consiglio caldamente di rivedere su YouTube?

Affronteremo questo tema nei prossimi editoriali, ma vi anticipo che per me questo è uno dei maggiori rischi che l’umanità può correre e come tale va prevenuto e controllato.

Alla prossima!


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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.