IL Digitale


Keywest e l’abbandono delle piattaforme

Il fine settimana scorso passeggiavo tranquillo in centro a Dublino, quando mi sono trovato insieme ad altre duecento persone ad ascoltare i Keywest, un gruppo musicale molto famoso in Irlanda ed anche in America. Tra un brano e l’altro hanno parlato a lungo del loro abbandono delle piattaforme musicali, e del ritorno ai concerti in strada ed altri spettacoli dal vivo, molto banalmente perché con lo streaming non ci campi.

Che sia Spotify o altri concorrenti, i musicisti non vedono il becco di un quattrino con le piattaforme. Anche altri artisti famosi come Neil Young o Taylor Swift hanno abbandonato, vuoi per sempre vuoi per qualche anno, chi non li paga per il lavoro che fanno.

Ho parlato spesso in questa rubrica del tipo di potere che esercitano le piattaforme, ossia del monospsonismo e del controllo asfissiante che hanno sui loro fornitori, mai sui loro clienti, per cui non hanno problemi a sfuggire ad accuse di monopolismo. Seppur da prendere con spirito critico, un buon riassunto su come funziona la pietra miliare dell’economia digitale lo trovate qui, grazie a lavoro fatto qualche anno fa da MIT ed Harvard Business School, ma ancora rilevante oggi.

Cos’hanno in comune musicisti di strada irlandesi, artisti, autisti e ciclo-fattorini in tutto il mondo? Essere dalla parte sbagliata delle piattaforme, quella dei fornitori dei servizi che ci viene tanto facile comprare dall’app: scaricare un brano, viaggiare con Uber, farci portare una margherita da un ciclista che se non pedala come al Giro D’Italia non mette soldi da parte.

Al politico di turno può sembrare facile inasprire le leggi, o alzare le tasse, per colpire queste aziende e racimolare qualche volto di protesta, ma non funziona. Sono esattamente 4.000 anni che re, imperatori e governi vari cercano di controllare prezzi e salari, senza mai riuscirci. Come vi avevo già consigliato di leggere il libro di David Graeber, “Debito: i primi 5000 anni”, oggi vi raccomando quello di Robert Schuettinger, “Forty centuries of wage and price controls” (Quaranta secoli di controlli di salari e prezzi).

Se non avete voglia di leggerlo, il succo è semplice: è la concorrenza lo strumento efficace per consentire prezzi e salari decenti. Se ho due piattaforme per scaricare musica, tre per portare le pizze in bicicletta ed un paio per andare in macchina, queste avranno sempre il coltello dalla parte del manico con i loro fornitori, li strozzeranno per il proprio tornaconto ed il cliente non vedrà nessun beneficio. Se invece di due ne ho venti, la musica cambia, a favore sia dei lavoratori e fornitori, sia dei clienti.

Ho comprato tre CD ed ottenuto il diritto di scaricare i brani dei Keywest dal loro sito per venti euro. Loro son contenti, perché se ne son portati 14 di margine in cassa (sei di costi), io pure perché ho pagato chi ha composto e suonato questa musica, non una Spotify che li avrebbe pagati solo $0.0003 per il mio download.

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” è un detto che ci arriva dall’antica Grecia, e più recentemente dall’Uomo Ragno. Come clienti abbiamo un grande potere, quello di poter aiutare nuove piccole aziende a crescere, artisti ad affermarsi, l’economia a funzionare correttamente: usiamolo.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.