IL Digitale


Due bolle di intelligenza artificiale

In un periodo in cui i grandi capitani d’industria, della finanza e della politica ci intortano su quanto sia buona e bella l’intelligenza artificiale, serve un passo indietro e pensiero critico su almeno due bolle di questa nuova tecnologia; giusto per non farsi fregare in modo eccessivo.

A livello macro, nonostante tutti proclami e specialmente tutti i licenziamenti di personale venduti come aumenti di efficienza dell’IA, abbiamo la prima balla. L’effettivo grado di adozione di questa tecnologia non supera il 10%, e gli ambiti in cui il ranocchio elettronico consente dei vantaggi concreti sono pochi. Questo è dovuto principalmente alla difficoltà di introdurre il cambiamento nelle organizzazioni, specialmente quelle di maggiori dimensioni, a prescindere che siano pubbliche o private. Gli ultimi anni, grazie ad un pot-puorri di crisi continue, hanno visto l’aumento generale del grado di burocrazia e di controlli volti a vietare tutto quanto non sia espressamente consentito. Di conseguenza, posso anche avere uno strumento che mi porta da quattro ore a venti minuti il tempo per produrre una dichiarazione, ma se non lo posso usare, il guadagno di produttività rimane teorico, sul PowerPoint del consulente di turno.

La maggior parte delle grandi organizzazioni vive con paura l’avvento dell’IA, perché viene meno la capacità di controllo e monitoraggio del lavoratore. Buona parte dei capi si illude che il dipendente faccia il possibile per fregarli, e di conseguenza è più interessata a limitare, vietare e controllare, che a dare libero spazio all’iniziativa del singolo. Non e’ un caso che siano le start-up e le aziende di piccole dimensioni a trarre veri guadagni dall’IA, perché da loro padrone e lavoratore in buona parte coincidono. Al contrario, dove ci sono schiere di Fantozzi e Filini a riporto del Dott. Mascalazon, l’IA verrà affidata al fidato scudiero che vede e provvede per tutte le parti dell’azienda, salvo poi non riuscire a fare nulla di pratico perché non conosce davvero il funzionamento dell’azienda.

Quando vi raccomando di provare, giocare, e finanche vendere quel che fate con questi strumenti, è proprio per trovare un modo di aggirare questa grossa grassa balla digitale.

A livello micro, nonostante la comodità di avere lo schiavetto elettronico che pensa per noi, cerca per noi e scrive per noi, dobbiamo stare attenti a non spegnere la nostra zucca. Come l’uso smodato dei social media ha già dato prova di nefasto impatto sui cervelli di bimbi e ragazzi, anche quello di ChatGPT e compagnia sta dimostrando che l’abuso ci riduce le capacità di pensiero critico e di pensare con la nostra testa.

All’MIT abbiamo visto l’effetto degli LLM sugli elettroencefalogrammi di studenti impegnati a scrivere delle ricerche. Quelli abituati ad usare ChatGPT hanno mostrato attività neuronale decisamente inferiore nelle aree del cervello che aiutano creatività ed attenzione, ed un calo drammatico nella memoria di breve termine, con parecchi ragazzi che nemmeno si ricordavano cos’avevano scritto l’ora precedente. Esistono altri studi in materia, accademici e di aziende come Microsoft, che vanno nella stessa direzione: nel breve periodo l’affidarsi eccessivamente a questo strumento consente al cervello di mettersi a riposo, che non è assolutamente un vantaggio. La nostra zucca deve girare veloce, per poi riposarsi e ripararsi col sonno e con l’attività fisica all’aperto.

Riprendo quindi la raccomandazione di usare gli LLM come strumenti, guidandoli passo passo con prompt volti alla ricerca delle informazioni prima, alla produzione di ipotesi, alla scrittura di una bozza e poi alla rifinitura con lo stile che si vuole. In pratica, cerchiamo di essere noi a guidare il ranocchio elettronico, sfruttandolo per le tante cose che sa fare meglio di noi, ma senza mai mettersi nelle sue mani, perché ne soffriremmo.

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Zafferano

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