I 5.000 sono quasi tutti professionisti, che hanno fatto del pensiero una tecnica e un lavoro. Al fondo, però, al di là dei successi e degli insuccessi, hanno tutti quel gusto per l’evidenza e quel senso dell’ambiguo, che sono i segni inequivocabili della malattia.
Un paio di settimane dopo, al Meeting di Rimini, code di persone si accalcano in pantaloncini nella fiera caldeggiante nonostante l’aria condizionata, per sentire dibattiti e pensieri, per seguire mostre impegnate su Par Lagerkvist e William Congdon, su Alcide De Gasperi e Franz Jägerstätte. Non sono dei tecnici, ma il bacillo del conoscere li percuote.
Anche gli altri festival del libro, del racconto, del pensiero, della comunicazione sono frequentatissimi. La verità è che, nonostante la supposta cattiveria dei tempi e i social, continuiamo a essere ammalati di filosofia, continuiamo a voler capire la realtà in cui siamo immersi, continuiamo a essere curiosi. Ogni essere umano tende a essere un po’ filosofo, anche quando non ne è cosciente. Non solo, gli eventi estivi dimostrano che abbiamo anche bisogno di pensare insieme.
A questo proposito, Kees de Waal, uno studioso olandese di C.S Peirce, fondatore del pragmatismo americano, ha fatto un’osservazione intelligente durante una di queste maratone di pensiero. Secondo De Waal, l’implicazione della complicata teoria della conoscenza e della comunicazione di Peirce – un realismo metafisico alla Scoto ma in chiave matematica – è che l’informazione è inutile quando non si ha nulla di comune. Così, applicando questa teoria ai nostri tempi, i social ci polarizzano non perché abbiamo pensieri diversi – cosa che per fortuna è sempre avvenuta – ma perché non abbiamo vita in comune. Quando non c’è vita e socialità comune, nessuna informazione serve per superare le differenze. Anzi, più inseriamo informazioni più ciascuno le leggerà secondo la sua parte e non imparerà nulla, se non a considerare l’altro come cieco alla “vera” realtà che egli/ella vede e sente.
Per questo motivo, il pensiero deve essere anche svolto insieme e ben vengano convegni e meeting, tanto più se popolari. La vita comune permette al pensiero di essere efficace, altrimenti pur parlando non ci si capisce. Ludwig Wittgenstein diceva che se un leone parlasse inglese (o italiano), non lo capiremmo. Manca la vita comune e senza di essa, le parole non sono informative, non comunicano significati. Ben vengano dunque i raduni di pensiero estivi, anche accaldati, perché senza di essi saremmo come leoni nel deserto delle nostre città occidentali.