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Il trionfo dei corpi ne “La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat” di Peter Weiss

Erede del teatro epico di Brecht e del teatro della crudeltà di Artaud, “La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentati dai filodrammatici di Charenton, sotto la guida del Marchese di Sade” (1964), dramma noto anche come “Marat/Sade”, segna una tappa decisiva nella carriera teatrale di Peter Weiss (Nowawes, 1916- Stoccolma, 1982).

Il celebre drammaturgo tedesco immagina che al noto Marchese de Sade, realmente internato nell’ospizio di Charenton dal 1801 al 1814, sia affidato dal direttore del manicomio, Coulmier, l’incarico di dirigere i pazienti nell’allestimento di uno spettacolo sull’assassinio del rivoluzionario Marat.

Sono numerosi gli spunti offerti da un testo talmente complesso e inafferrabile, così come sono numerosi gli elementi della struttura dello spettacolo degni di menzione e analisi. Ci si potrebbe soffermare, ad esempio, sulla particolarità della costruzione meta-teatrale, all’interno della quale si alternano, minacciando l’integrità e la stabilità dell’illusione teatrale, il piano zero della rappresentazione (Sade che organizza lo spettacolo) e il piano uno (l’assassinio di Marat). Si potrebbe commentare la ricchezza scenica di un testo che si fa espressione di un “teatro integrale”, nel quale la nobile arte della parola detta è affiancata da esperienze musicali, canore, pantomimiche e farsesche. Si potrebbe spendere qualche parola, e a buon diritto, sulla straordinarietà e l’artificiosità del dialogo tra Sade e Marat, filo rosso dello spettacolo, piano trasversale alla costruzione meta-teatrale poiché incontro di due personaggi che appartengono a diversi piani della rappresentazione.

In questa sede, tuttavia, ciò che ci preme sottolineare non è l’inconciliabile contrapposizione tra un estremo individualista e un intransigente sostenitore della rivoluzione, bensì la presenza incombente, nel testo, a lato e attraverso il dialogo tra Sade e Marat, della fisicità “eccessiva” dei pazienti ricoverati. Le lucide riflessioni dei due circa la necessità della violenza rivoluzionaria sono, infatti, accompagnate, precedute, succedute e interrotte da disturbanti esperienze e manifestazioni di corpi folli. Ecco che si crea, dunque, una nuova polarità: all’ astratto e razionale della parola si contrappone il concreto e irrazionale del corpo.

“(…) Marat/ mentre io giacevo nella fortezza/ ho appreso/ che questo è un mondo di corpi/ ed ogni corpo è pieno di una forza tremenda/ e ogni corpo è solo tormentato dalla sua irrequietudine (…)”

(Sade, Atto secondo, Terza e ultima visita della Corday)

Corpi malati, corpi aggressivi, corpi grotteschi, corpi perversi, corpi privi di inibizione popolano la scena di Charenton, mettendo in pericolo il privato, l’etica, la religione, la giustizia, l’ordine pubblico (qui rappresentato da Coulmier, sempre pronto a cercare, invano, di sedare gli animi dei pazienti). Ogni personaggio sembra caratterizzato proprio dal corpo che porta con sé o sul quale agisce. C’è il corpo di Marat, squassato dalle convulsioni, piagato dall’eczema. C’è il corpo “santo” di Charlotte, sul quale Duperret sfoga la propria erotomania, il corpo obeso di Sade, flagellato dalla Corday, il corpo tormentato di Simone, il corpo ribelle dell’ex prete Roux. Sono i corpi indomabili, liberati, nella loro irrazionale forza primigenia, dalla stessa esperienza teatrale, i protagonisti della rappresentazione, nonché la struttura base ed essenziale della vita umana.

“Marat/ lascia ogni cosa/ adesso che viene da te/ Marat/ non c’è altro/ che questo corpo (…)”

(Sade, Atto secondo, Terza e ultima visita della Corday)

La celebrazione della corporalità estrema e disinibita, vincitrice sulla razionalità, trova nel finale dell’opera la più completa rappresentazione. Il sipario cala, infatti, sulla distruzione della scena da parte degli internati deliranti, un quadro grottesco che non nasconde, tuttavia, la disillusione, portato di un’amara presa di coscienza. Come le posizioni di Sade e Marat, pur nella diversità, si dimostrano tanto inclini all’eliminazione del “vecchio ordine” quanto poco utili a un materiale rinnovamento sociale, così quelli ai quali Peter Weiss dà vita sono corpi capaci sono di generare disordine. Sono corpi fermi a una pars destruens totalizzante, alla quale l’uomo di Weiss sembra non saper e non poter porre rimedio.


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