La prima è dedicata alle ragazze d’oro della pallavolo femminile italiana.
Talento cristallino, qualità, freschezza e tanto entusiasmo, legati ad una spietatezza sportiva e fame di vittoria contagiose.
Direttore d’orchestra? L’uomo de “hic et nunc”, del qui ed ora come visione ed ideale di vita, Julio Velasco. Ha portato concetti esistenziali universali come la pazienza, il saper aspettare, la gioia di giocare, di dare tutto e non prendere la sconfitta come marchio infamante e fine di tutto, ma come parte del gioco, lui allenatore più titolato della storia della pallavolo, vince il suo primo oro olimpico a 72 anni.
La seconda è dedicata a quattro “vecchietti”: LeBron, Steph, Kevin e Novak, i quali all’età, in cui molti ex colleghi siedono nei salotti televisivi come opinionisti, sono ancora dentro i rettangoli da gioco a dimostrare che l’irreale, non solo è pensabile bensì realizzabile. Le loro gesta svegliano dal torpore di alcune torride notti d’agosto, ricordano che non esistono limiti e rompono perfino le barriere del possibile per entrare nelle dimensioni zodiacali della certezza.
Lo si può fare sempre, in qualsiasi sport, a qualsiasi età, in qualsiasi ambito della vita.
Talento? Certo, ma da solo non è sufficiente, sono essenziali disciplina, perseveranza, passione, mentalità ossessiva, curiosità e insaziabile voglia di migliorarsi giorno per giorno.
La terza è dedicata a tutti gli atleti russi e bielorussi che hanno partecipato come indipendenti e vinto medaglie, ma oscurati, poco o nulla si è parlato di loro, delle loro storie e delle loro vittorie.
Una macchia che sporca l’elegante vestito da sera, così come l’esclusione di tutti gli atleti russi e bielorussi, in quanto tradisce uno dei sacri principi olimpici: condivisione ed incontro tra persone e popoli diversi.
Nell’antica Grecia quando si svolgevano le Olimpiadi, tutti i conflitti cessavano.
Lo sport deve svolgere quel compito che politica ed economia non riescono ad assolvere, ovvero contribuire alla pace, solidarietà e oltrepassare quel che sono le barriere dell’odio e della brutalità. Un atleta non viene ammesso se tradisce il sacro principio dell’equa competizione assumendo sostanze dopanti, non se fa parte di un paese in guerra. L’ideologia cieca ne uccide l’essenza, lo spirito puro, lo sport invece deve unire.