Anche se il male ha offuscato questa immagine divina, Dio offre all’uomo la possibilità di redenzione: l’esistenza terrena è vista come un cammino verso la vita eterna; vocazione dell’uomo è partecipare pienamente all’amore e alla felicità di Dio.
Ma “credere è diventato più difficile, perché il mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a questo mondo è diventato difficile” (papa Benedetto XVI). Spesso, anche il credente non riesce a comprendere meglio degli altri il modo in cui l’uomo agisce e si realizza nel mondo. In una società in cui la concezione teologica dell’uomo sembra aver perso il suo significato concreto, la sfida più urgente è quella del dialogo: trovare un terreno comune su cui costruire una più ricca e condivisa comprensione dell’essere umano, un’immagine che lasci spazio ai diversi modelli, permettendo un confronto fecondo tra visioni differenti.
Spunti per una riflessione sono alcune concezioni, tra le più diffuse nella cultura contemporanea. Sigmund Freud ha posto l’accento sulle forze inconsce che muovono l’essere umano. L’uomo non è pienamente libero: è spinto da pulsioni profonde — sessuali, aggressive, vitali — che determinano il suo comportamento. Il conflitto tra queste forze interiori e la società dà origine a tensioni e compromessi, che l’individuo cerca di gestire attraverso l’Io. Persino l’attività intellettuale, nella visione freudiana, non è altro che una forma di sublimazione delle pulsioni. Ne nasce un modello di uomo che deve adattarsi alla società, non un creatore del proprio destino, ma un equilibrista sospeso tra desiderio e norma. A questa visione “interna” si contrappone quella del comportamentista americano B.F. Skinner, per il quale l’uomo è essenzialmente il risultato delle stimolazioni esterne. Non sono le pulsioni interiori a guidarlo, ma gli stimoli e i rinforzi che riceve dall’ambiente. Attraverso un sapiente controllo delle ricompense, si può modellare il comportamento umano e costruire una società ideale, senza ricorrere a punizioni o concetti di libertà che egli giudica illusori.
Tuttavia, questa visione riduce l’uomo a un semplice meccanismo di risposta, privo di intenzione e creatività. La critica più acuta, avanzata da Chomsky, filosofo e attivista americano, mette in dubbio proprio questa riduzione: l’uomo, a differenza di un animale, non reagisce soltanto, ma interpreta, sceglie, e attribuisce significato. Per Karl Marx ed Engels, l’essenza dell’uomo si manifesta nel lavoro. L’uomo si distingue dagli animali quando comincia a produrre i mezzi per vivere, e nel produrli trasforma la natura e sé stesso. L’essere umano è dunque un produttore e la sua libertà coincide con la capacità di modificare le condizioni materiali della propria esistenza. Questa concezione lascia poco spazio agli aspetti spirituali, estetici o simbolici dell’esperienza umana. L’arte, la religione o il gioco appaiono come attività secondarie, quasi evasioni. Il rischio è quello di ridurre la dignità dell’uomo al solo piano economico e produttivo. Questi modelli, pur partendo da osservazioni importanti, condividono un limite: assolutizzano un aspetto parziale dell’uomo. Una visione più completa deve riconoscere all’essere umano la capacità di creare liberamente, di divenire artefice della propria vita.
L’uomo non è soltanto spinto da forze inconsce o condizionato dall’ambiente, ma è un essere capace di trasformare le forze interiori ed esterne in strumenti della propria libertà. È un creatore di significato, un interprete del mondo, un soggetto che simbolizza e progetta. In questa prospettiva, la libertà non è arbitrio, ma spazio d’azione consapevole; la creatività non è privilegio degli artisti, ma la forma più alta della vita. La libertà e la creatività, tuttavia, non si realizzano nell’isolamento. L’uomo esiste in relazione con gli altri, e il dialogo diventa il luogo in cui la persona cresce e si trasforma. Nel ciclo evolutivo della persona libera si intrecciano percezione, identità, desiderio, impegno e partecipazione: la capacità di guardare la realtà senza chiudersi all’orrore o alla noia; la costruzione di una forte identità personale, capace di sostenere la solitudine; la proiezione verso il futuro, la fiducia nella propria competenza; l’impegno morale nel mondo, fondato sul riconoscimento dei diritti autentici delle persone; la sospensione del proprio punto di vista per aprirsi all’altro; la partecipazione dialogica, che non impone, ma crea nuove sintesi condivise.
La persona veramente libera è dunque quella che vive questo ciclo di crescita continua. Nell’epoca della tecnica e dell’intelligenza artificiale, il rischio più grande è quello di ridurre l’uomo a macchina, a reazione, a produttore. Proprio oggi, diventa urgente riaffermare la dimensione simbolica, creativa e relazionale dell’essere umano.
