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Il dramma dello shutdown

Mentre scrivo, 8 novembre, siamo al trentottesimo giorno di government shutdown, di fermo delle istituzioni governative americane, il più lungo della storia. Questo fenomeno tutto americano succede quando il governo federale non ha più i fondi per pagare le spese correnti, a sua volta determinato dall’impasse a Washington, dove i due partiti non riescono a mettersi d’accordo sul budget del prossimo anno.

A parte poche categorie protette, come gli stessi politici colpevoli di questo scempio che continuano a ricevere il loro lauto stipendio e la cadrega bella calda, un milione e quattrocentomila dipendenti pubblici e tre milioni di soldati non ricevono un dollaro, tirano la cinghia. Questo comporta scene vergognose, da soldati in uniforme costretti a mendicare alla Croce Rossa per raccattare la cena, a famiglie dove i genitori sono dipendenti pubblici e non sanno cosa dare ai bimbi. In alcuni casi, come controllori di volo e della sicurezza degli aeroporti, l’impatto è  universale, perché le code durano ore e migliaia di voli son cancellati. Se pensate di venire in visita negli USA a novembre, lasciate perdere.

Se il tutto vi sembra incredibile, se pensate che non avreste grossi problemi a sopravvivere un mese senza stipendio, ricordate che metà della popolazione americana ha meno di $1.000 di risparmi a disposizione, mentre il valore mediano è di solo $8.000. Nel Paese più ricco del mondo, già dopo le prime due settimane di fermo governativo avevamo code di gente in cerca di cibo, figurarsi dopo 40 giorni.

Nonostante i repubblicani abbiano la maggioranza in entrambe le camere, il budget dev’essere passato con una maggioranza di almeno 60 voti, che al Senato mancano. Il litigio si concentra sulla spesa medica, che i Democratici vorrebbero sovvenzionata con ulteriori miliardi, mentre i Repubblicani vogliono tagliare. Ogni giorno che passa il conflitto diventa più teso, perché l’impatto economico già devastante per i dipendenti pubblici e militari, si allarga rapidamente al commercio ed agli altri settori dell’economia. Dieci milioni di persone (contando i famigliari) che mendicano la cena, non possono certo spendere in ristoranti, vestiti, automobili o vacanze. A questi si aggiungono quelli che già erano poveri e ricevevano i sussidi governativi, 41 milioni, che oggi sono alla canna del gas, letteralmente. Se 50 milioni di americani stanno male, gli altri 280 milioni non se la passano bene se trasporti, infrastrutture e servizi pubblici non sono funzionanti come si deve.

Ovviamente su Trump e Congresso cresce la pressione per risolvere l’impasse, e ci mancherebbe: pensate ad un’insegnante o un soldato che li vede litigare in TV mentre loro devono spiattare un pollo di plastica della Croce Rossa. Le recenti elezioni locali dimostrano che chi punta in modo marginalmente credibile sulla riduzione del costo della vita, vince. Se anche a Washington trovassero una quadra nella settimana entrante, questi 40 giorni di Quaresima federale resteranno una cicatrice profonda, traumatica per 50 milioni di cittadini, importante per tutti gli altri. Se a questo si aggiungesse un crollo della borsa, e con esso i fondi pensionistici di 165 milioni di americani, saremmo alla tempesta perfetta per il politico che pensa di vincere le prossime elezioni.

Vedere Trump che promuove mutui a 50 anni, ci dice che ai piani alti della politica l’ottimismo sta finendo, e si stanno preparando a scenari drammatici.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro