E così si sono resi conto che il Covid non è l’unica calamità di cui preoccuparsi: in una sola notte è scesa sulla città una quantità d’acqua pari al 30% delle piogge annuali. È esondato il Seveso e in città i tombini, le tubature, un certo numero di case, garage, cantine e infine il mio studio si sono allagati.
Mi sono precipitata in studio la mattina presto e rivoli d’acqua mi hanno accolto all’ingresso. Costernata, ho cominciato a spostare dalla zona a rischio (con sgocciolamenti fin dal soffitto) tutti i quadri che potevo. In generale tengo sempre i quadri sopraelevati, avendo una struttura apposta, o su dei ciocchi di legno per i quadri che mi servono liberi. Questo per vari motivi, in generale per evitare che il telaio si sporchi, e per far passare più aria e contrastare l’umidità del pavimento. Per fortuna questo ha aiutato. Mi sono armata comunque di mocio e paletta e ho cominciato a togliere l’acqua e mettere secchi là dove ancora sgocciolava.
Il movimento ritmico e circolare del mocio, la difficoltà della situazione, forse anche quel senso di libertà vigilata, da "ora d’aria" appunto, mi ha fatto venire in mente La ronda dei prigionieri di Van Gogh. Un quadro intenso e un po’ disperato, che si rifaceva a un’incisione di Gustave Doré. Lo vidi in una fantastica mostra alla Collezione Thyssen-Bornemisza a Lugano, nei primi anni ’80. Il visionario barone Thyssen era riuscito a fare uno scambio con i musei sovietici (il Puskin di Mosca, l’Ermitage di Leningrado) che per la prima volta dal Dopoguerra facevano uscire le loro opere, in piena cortina di ferro. Allora, a Lugano, si vedevano mostre veramente coi fiocchi.