LA Caverna


Trapezisti da circo o uomini di speranza

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Viviamo, anche intensamente, ma emerge, sempre di più, una diffusa domanda di ragioni per credere alla vita e per sperare, nel dispendio che se ne fa e, talvolta, nel disprezzo che se ne ha, nella sua vittoria.

Nel quotidiano in tanti abbiamo imparato ad amare intensamente la vita e vogliamo risposte immediate e credibili ai mille perché che ci accompagnano, non accontentandoci di opinioni e spiegazioni che lanciano nel "dopo" la soluzione dei problemi e l’assestamento dei desideri. Tante sicurezze che ci hanno momentaneamente appagato ci hanno lasciato con le mani vuote, mettendoci in una crisi diffusa e ricorrente, da cui vorremmo uscire. Ci aggrappiamo ai beni e alle cose convinti di trovare in essi rassicurazione e conforto. Molti non cercano più, in pochi ci interroghiamo, lanciando la nostra attesa "fuori" di noi, oltre quel confine ristretto, dentro cui abbiamo ormai consumato tutte le risorse.

Trapezisti del circo, abbandonata nel salto la piattaforma di sicurezza, attendiamo a braccia levate che qualcuno ci afferri, per ritentare di nuovo il salto nell'avventura, nel domani incerto. Nella mischia della vita quotidiana le difficoltà possono essere superate solo nell'impegno e nella solidarietà e questi atteggiamenti, che si sottraggono alle logiche del mondo comune, è solo la speranza che, negli eventi lieti e tristi che attraversano l'esistenza, ce li fa assumere. Abbiamo una coscienza spezzata, abbiamo la percezione sofferta come di una doppia appartenenza. Ci sentiamo cittadini di una città da rendere sempre più abitabile, per viverci con gioia e allegria, e conosciamo e in parte siamo oppressi dai meccanismi dello sfruttamento, siamo lacerati dal dolore e dalle sofferenze di milioni di uomini vittime della fame e della violenza, abbandonati in solitudine.

Le due città quella presente e quella sognata, quella in cui viviamo e quella in cui speriamo, sono diverse, reciprocamente lontane, eppure intensamente affascinanti. Non possiamo abbandonare la presente trincerandoci nell’illusione o restando prigionieri di un egoismo esasperato, perché non avremmo più sogni, non avremmo progetti, non avremmo motivi per combattere e operare. Le provocazioni e le sfide quotidiane assumono toni drammatici e fanno sorgere interrogativi di fondo: possiamo essere uomini di speranza, possiamo amare la vita e sognare felicità comune? Nel frastuono della realtà quotidiana, nell’immanente dove ci arrabattiamo, solitari, nel labirinto delle opere delle nostre mani, dobbiamo trovare il coraggio di accedere alla speranza. Senza speranza nella storia dell'uomo restano il conflitto e il deserto.

Essere uomini di speranza vuol dire non fermarsi, battersi per un mondo migliore, trovare il coraggio di affrontare le sfide odierne, usare in modo responsabile i mezzi di comunicazione veicolando notizie positive senza distruggere la dignità delle persone. Siamo interessati unicamente ai prodotti funzionali che dovrebbero servire per affrontare problemi di sopravvivenza, piccoli o grandi che siano, ma siamo lontani o estranei ai significati esistenziali. Le cose hanno ormai invaso l'ambito del senso della vita che dipende, invece, da altri confronti. Sono i modelli culturali, l'esperienza religiosa, i valori, le testimonianze, che in parte rispondono alle domande sulla propria identità personale, sulle esigenze etiche, e danno l’energia per affrontare il dolore, le prove della vita e il coraggio di guardare in faccia la morte. L’uomo che ha speranza non mette i prodotti e le cose possedute e desiderate, al centro degli interessi ma il problema inquietante del senso dell'esistenza. Solo così è in grado di compiere quella necessaria svolta antropologica che salva il mondo dal non senso e dalla disperazione.

La cosa strana è che mentre da una parte, la questione sul senso sembra restare senza risposte sicure, lasciandoci brancolare nel buio, dall'altra, siamo sommersi di risposte, falsamente rassicuranti e prepotenti: i beni posseduti, le scoperte ingegnose, i sogni illusori ci dicono chi siamo e misurano la nostra importanza. Ci fermiamo a quello che si vede e che siamo capaci di manipolare. Siamo presuntuosi e saccenti, leggiamo e interpretiamo la realtà attraverso le categorie della nostra scienza e sapienza ma basta poco a sprofondarci nel mistero. Non parlo di una spiritualità alienante che ci sollecita verso il mistero invitandoci alla fuga, all'isolamento dalla realtà, alla resa ma, al contrario, alla contemplazione dell'avventura della vita dalla parte del mistero, per decifrare, in compagnia con gli uomini di buona volontà, il visibile in tutta la sua pienezza. La speranza dei credenti è radicata oltre i confini delle competenze e delle umane capacità, in quella fede che li fa vivere come se vedessero l'Invisibile (Eb. 11,1).

Per questo, contemplandosi immersi in un Amore che li avvolge, dicono la loro speranza con parole sapienti, inventando con coraggio e radicalità gesti concreti di fraternità: un uso corretto dei beni, un rapporto autentico verso le persone, una collaborazione operativa, una lotta senza fine per la pace e la giustizia. L’uomo che spera cammina a fatica insieme agli altri ma verso un futuro di salvezza, anticipato da segni inequivocabili di amore. Chi ha speranza fa il grande balzo in avanti e diventa mediatore nel conflitto tra trascendenza e immanenza. Scopriamo in lui quel volto di Dio che ci resta nascosto e lontano.

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