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Finché malattia non ci separi

Viviamo più a lungo, e questo sembra una conquista. Ma dietro la statistica dell’allungamento della vita media si nasconde un paradosso: la vecchiaia non è sempre condivisa in salute, e spesso la longevità diventa una prova di resistenza più che d’amore. 

Sempre più coppie anziane affrontano gli ultimi lustri di vita in una condizione asimmetrica: uno dei due si ammala, l’altro si trasforma in caregiver. Una metamorfosi che arriva senza preparazione, senza riconoscimento e spesso senza supporto.

Nel linguaggio delle istituzioni, la presenza di un coniuge autonomo è considerata garanzia di assistenza adeguata. Ma cosa accade quando l’autonomia si consuma nel prendersi cura dell’altro? Quando il coniuge sano diventa, lentamente, un secondo malato? La cura, nel tempo, logora. Fisicamente. Psicologicamente. Chi assiste vive un senso di colpa per la stanchezza, un senso di impotenza per la progressiva perdita del partner, e una solitudine amplificata dal fatto che non si può lamentare: dopotutto, non è lui il malato.

Ma c’è di più.

Numerosi studi evidenziano che l’impegno assistenziale del coniuge sano non è privo di conseguenze: ad esempio sono stati osservati tassi aumentati di disturbi fisici e cognitivi nei partner che accudiscono la persona malata. Un’indagine longitudinale realizzata su quasi 2.500 coppie anziane ha mostrato che il coniuge di una persona affetta da demenza presentava un rischio circa sei volte maggiore di sviluppare a sua volta demenza rispetto a chi viveva con una partner sano. Allo stesso modo, in uno studio più recente su quasi 1.000 caregiver coniugi, nell’arco di due anni il numero di patologie accumulate è aumentato da una media di 1,5 a 2,1, e questo incremento di comorbidità è risultato associato a un aumento dello stress e a una contrazione della rete sociale.

In altre parole, la presenza fisica del compagno in salute è spesso assunta come sicurezza, ma i dati mostrano che il compagno caregiver è a sua volta un soggetto fragile e potenzialmente destinato a un deterioramento anticipato. La coppia, da luogo di reciprocità, si trasforma così in un piccolo sistema di sopravvivenza. I figli, spesso lontani o oberati, si rassicurano: “c’è mamma con papà”, “c’è papà con mamma”. Il sistema sanitario, a corto di risorse, considera la famiglia un ammortizzatore.

Eppure, questa crisi può diventare anche occasione per ripensare il senso della cura. Servono intanto politiche che riconoscano il caregiver familiare come figura centrale, non emergenziale: formazione, supporto psicologico, congedi più flessibili, incentivi economici. Ma serve anche un cambiamento culturale: la malattia di uno dei due non deve segnare la fine della coppia come spazio di affetto reciproco. I centri di sollievo, le comunità di prossimità, le reti di volontariato, nuovi modelli di organizzazione della cura e in futuro anche agenti robotici di supporto, possono restituire respiro e dignità a chi assiste, permettendo momenti di pausa e condivisione.

Nelle prossime settimane affronteremo queste possibili soluzioni perché “Finché malattia non ci separi” non rimanga una provocazione e perché l’amore non può bastare da solo e non deve diventare una condanna, dietro porte chiuse e tende abbassate.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.