Oltre al sottoscritto, si trovava in Rue d’Ulm anche il celebre Maurizio Ferraris dell’Università di Torino. Ferraris, uno dei pochi a occuparsi del problema della rivoluzione tecnologica in atto, ha fatto simpaticamente vedere che in fondo dovremmo essere tutti felici, almeno in occidente: il tempo libero è aumentato (per cui invece che stare in officina possiamo fare i terrapiattisti), la divisione tra lavori intellettuali e materiali sta scomparendo, ci sono low cost per ogni genere di prodotto o servizio.
Il comunismo si è realizzato, e non grazie alla rivoluzione culturale o alla lotta di classe ma in seguito alla rivoluzione digitale. Dovremmo essere contenti, e non solo a sinistra. In fondo, un mondo migliore per tutti è il sogno anche del capitalista che dice che quando di alza la marea, si alza sia per lo yacht del ricco sia per la barchetta del povero (che se ha soldi, peraltro, consuma).
Eppure, c’è il trucco. E qui l’analisi di Ferraris va a coincidere con quella di Riccardo Ruggeri sul Ceo-capitalism, pur dandone un giudizio opposto. Il trucco è che anche in questo nuovo capitalismo digitale c’è un plus-valore che va a vantaggio dei capitalisti, che in questo caso sono i grandi proprietari del GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft). Il plus-valore sta nel fatto che noi cediamo i nostri dati gratis per ottenere servizi gratis o low cost.
Peccato che i nostri dati, rivenduti migliaia di volte, abbiano un valore infinitamente superiore a quello dei servizi offerti. Soluzione di Ferraris: tassiamo molto i supergiganti della comunicazione e, con i soldi, godiamoci il comunismo realizzato.
Avremo ancora più fake news create da gente che non fa nulla, ma in fondo le fake news ci sono sempre state. Ferraris, da me sollecitato rispetto alla possibilità che i GAFAM paghino individualmente i dati come una specie di royalties ai singoli individui, pensa che la soluzione di una tassazione statale sia più semplice ed efficace. Alcune app degli stessi GAFAM pubblicizzate negli ultimi giorni sembrano andare nella direzione di una risoluzione individualista e non collettivista del plus-valore dei dati. Ma vedremo come andrà a finire.
Interessante però l’aver identificato il lato sociale-economico della rivoluzione digitale e del suo neo-capitalismo, quello che Ruggeri chiama il Ceo-capitalism. Rispetto a Ruggeri, Ferraris lo ritiene più inevitabile e comunque come portatore di vantaggi più che di svantaggi. Ma l’analisi, nata da punti molto diversi e da studi ed esperienze opposte, sembra iniziare a convergere verso un punto. Non è poco.