Il giornalismo oggi gode di ottima salute (togliete lo stile e la forma mentis giornalistica dalla scena pubblica e dai social e l’Occidente si imballerà come un motore diesel improvvisamente rifornito a benzina), tuttavia i media tradizionali, mi riferisco ai quotidiani, grandi scuole del mestiere, annaspano in conti economici da tregenda: il loro modello di business è vecchio di un buon decennio, la loro «vision» è fumosa persino per gli stessi direttori incaricati di trasferirla in «execution», gli editori guardano solo alla cassa e quindi tagliano le spese, producendo misteriosamente (ai propri occhi) ulteriori numeri rossi. È ragionando su tutto ciò che ho elaborato, per puro divertissment intellettuale, il Protocollo Zafferano.
Ma non è del settore che volevo parlare oggi, bensì della professione: ritengo quella del giornalista una delle più belle che un giovane mediamente sveglio possa scegliere. Cosa c’è di meglio che tentare di capire e raccontare il presente attraverso un accesso alle fonti che è sì, a inizio carriera, tutto da conquistare, con fatica e astuzia, ma che i lettori comuni mai si sogneranno di avere?
A un giovane siffatto consiglio un titolo fresco di pubblicazione: È la stampa, bellezza! Manuale di sopravvivenza per chi scrive sui giornali e per chi li legge. È stampato da Orme editori, conta 128 pagine, costa 10 euro, ed è firmato da un «Anonimo». In questi casi, delle due l’una: o l’autore è un facitore di volumi in cerca di qualche magro arrotondamento economico o è un insider di lungo, lunghissimo corso che tirerà fuori, tra le righe, informazioni preziose. Non ho dubbi, fidatevi: qui siamo nella seconda ipotesi.
Fedele all’essenza di tutti i veri manuali, anche questo ha un lato spassoso. Che i giornali siano come le salsicce («Se sai come sono fatte, diventi vegetariano») è una verità fra tante, e nemmeno più vera delle altre; che la vita di un Giovane Redattore potesse essere così picaresca e istruttiva, non avendo mai lavorato in una redazione (ero in fabbrica, a quell’età), non lo sospettavo.
L’Anonimo, l’ambiente lo conosce a menadito: suggerisce come proporre un’idea al proprio capo approfittando della Prima legge generale della Redazione («L’idea è un problema, la notizia è una soluzione») e da lì procede nell’istruzione passo passo del Giovane Redattore. Le sue sono rapide e allegre lezioni, scandalose per chi ancora coltiva una visione eroica del mestiere. Eccone alcune: «È più facile sbagliare pubblicando una notizia falsa che sbagliare non pubblicando una notizia vera», «La marchetta non si discute, si fa» (corollario: «Esecutore e beneficiario raramente coincidono»), «Il viaggio merenda è una marchetta a orologeria» (ma qui alcune industrie sono andate ben oltre: il viaggio merenda coincide con la marchetta), «I comunicati stampa sono come i bikini: mostrano tutto, ma nascondono l’essenziale» e il bravo giornalista li appallottola in fretta, direzione cestino.
Il romanzo del Giovane Redattore – perché di questo si tratta – continua per luoghi e momenti apicali: la macchinetta del caffè, via maestra per entrare nel «giro» del giornale, i pranzi di lavoro, dove le cose migliori accadono dopo il terzo drink (ma questo lo sapevo già dal mio maestro di gonzo journalism Hunter S. Thompson), la riunione di redazione (la parte che conta sono i dieci minuti successivi), la discussione per le ferie (se siete a inizio carriera, fate prima a rassegnarvi a quelle fuori stagione), l’insidioso Comitato di Redazione e il procelloso mare del sesso tra colleghi. Quella del giornalista, mi dicevo durante la lettura, è, o potrebbe essere, una professione piena di umanità, dickensiana, tollerante, forse tra le più liberali che esistano. Come intervistare, altrimenti, così tante persone in una vita, senza averne noia né timore?
L’Anonimo chiude tratteggiando alcune figure topiche: il collaboratore, lo stagista, l’abusivo e naturalmente il direttore, colui che «si arrabatta giorno per giorno cercando di mantenere un passabile equilibrio tra l’etica professionale e il portafoglio dell’azienda». La sua potrebbe essere una posizione invidiabile e lodevole, e di fatto lo è: riverito come gran sacerdote delle notizie e delle relazioni politiche e industriali, egli appare nei talk show serali come a una messa cantata in suo onore, imperturbabile nell’analisi parlamentare come in quella sociale. Mai toro, sovente picador.
È curioso, però, che nella prefazione al suo manuale di sopravvivenza l’Anonimo chieda l’abolizione di questa figura e proponga di far decidere ai giornalisti, che se ne assumono la piena responsabilità, cosa pubblicare. «Affidare i giornali a chi libertà dei giornalisti la rivendica giorno e notte» dice l’Anonimo, cioè agli stessi. A Zafferano siamo già oltre: abbiamo affidato la testata ai lettori. Tié!