Musica in parole


Puccini100: Gianni Schicchi

Firenze, anno 1299: il ricco mercante Buoso Donati muore lasciando l’eredità ai frati di un convento. I familiari furenti chiedono aiuto a Gianni Schicchi, astuto personaggio di modeste origini.

Questo il soggetto scelto da Puccini per la sua unica opera comica, la cui ispirazione è tratta dal XXX canto dell’Inferno dove Dante colloca, appunto, il falsario Gianni Schicchi, realmente esistito.

Secondo il libretto d’opera, il protagonista vorrebbe sottrarsi alla richiesta ma cede alle pressioni di sua figlia Lauretta, innamorata del nipote del defunto (e invisa alla famiglia di lui). Schicchi escogita un piano, beffa i Donati e con un raggiro degno di un esperto truffatore riesce a intestare a se stesso il grosso dell’eredità contesa. Alla fine dell’atto unico il falsario si rivolge agli spettatori e chiede attenuanti per il suo agire dettato dalla convinzione che il fine (unire due giovani innamorati) giustifichi i mezzi.

Una situazione da commedia dell’arte in cui la musica sostiene l’aspetto comico con ritmo incalzante e le caratteristiche di ogni singolo personaggio sono rimarcate dai diversi timbri degli strumenti. Gli archi danno espressività alle frasi musicali di Lauretta e fidanzato; i fiati evidenziano il grottesco della storia.

Puccini aveva concepito questa breve opera come ultima di tre (“Il tabarro”, “Suor Angelica”, “Gianni Schicchi”) da rappresentare unitariamente, un Trittico, così come messo in scena in questo periodo dal Regio di Torino.

Uno degli omaggi al grande Maestro nell’anno che vedrà celebrarne il prossimo novembre il centenario della morte. Lungo tutto il 2024 il nome di Puccini spicca nei cartelloni degli Enti lirici in Italia e nel mondo; in evidenza i titoli sempre amati e attesti dal pubblico.

Resta la particolarità del “Gianni Schicchi” che seppure opera meno conosciuta di altre, è capolavoro di ironia e vivacità musicale, apprezzata alla sua prima rappresentazione (New York 1918) come commedia umoristica non priva di satira sociale.

Non si può non ricordare in chiusura la celebre aria, semplice e fluente, intonata come supplica dal personaggio di Lauretta. “O mio babbino caro” non ha niente di grottesco, di ilare; è un tempo sospeso nell’opera, un momento in cui il respiro di Puccini si fa intimista e cattura in musica l’essenza delle emozioni umane. Indimenticabile qui dalla voce di Maria Callas.

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