Fino ad oggi i topini di laboratorio erano vittime di una serie di esperimenti, dal comico al sadico, per vedere come l’animale reagisce a diversi scenari. Dalla necessità di procurarsi cibo, a quella di orientarsi in un labirinto, proteggersi dal freddo, non affogare in acqua, o reagire a nuovi medicinali, generazioni di roditori ne han passate di cotte e di crude per farci capire come funziona il nostro corpo, e specialmente il nostro cervello. Gli esperimenti sui topini ci hanno spiegato, tra le altre cose, come alcune parti del cervello processano stimoli sensoriali e motricità, e come questo sistema complesso ci consente il controllo dei movimenti, delle decisioni, e quindi di imparare.
Scienziati di Harvard e DeepMind hanno pubblicato uno studio interessante (qui https://www.nature.com/articles/s41586-024-07633-4#Sec5), dove ci raccontano del loro nuovo modello di IA, in grado di comportarsi come un topo vero, nello spazio virtuale del digitale. Siamo nel campo della neuroscienza comportamentale, anche chiamata psicobiologia o biopsicologia a seconda dello specialista che ve la racconta. Si tratta di un approccio multidisciplinare dove biologi, chimici, psicologi, medici ed ingegneri contribuiscono con le loro competenze alla modellazione più complessa conosciuta, quella di un essere vivente. Mille mila volte più difficile della fermentazione.
In questo caso i ricercatori hanno sviluppato un network neuronale profondo (DNN, deep neural network) modellato su quello del topo, e costruito un algoritmo che insegna sulla base di prove continue, dove l’avatar del roditore viene premiato o punito finche’ impara, o schiatta. Il vantaggio del topino digitale è duplice: da un lato non si fa soffrire alcun animale in carne e zampette, dall’altro la velocità di apprendimento è estremamente maggiore di quanto si può fare in un laboratorio vero. In pochi giorni di simulazioni il topino digitale si evolve come in milioni di anni di evoluzione naturale.
Questo esperimento è particolarmente importante perché mostra come la psico-motricità plasma alcune aree del cervello, e come insegnare al robot a nutrirsi, correre, saltare, scappare dal suo recito virtuale. L’importanza del vedere come l’attività neuronale nel gemello digitale predice il comportamento del topino, meglio dell’analisi di laboratorio dei suoi movimenti e parametri vitali, è notevole: ci apre spazi di ricerca nuovi sia in ambito medico, sia nel campo della robotica.
Nel primo caso, pur avendo di fronte anni di ulteriore ricerca, si intravede la possibilità di simulare l’effetto delle terapie neurologiche prima di sottoporle al paziente. Nel secondo, più prossimo come tempi di sviluppo, quello di dare maggior autonomia e sicurezza ai robot fisici che usiamo professionalmente o in casa. Volendo suonare ripetitivo, questa ricerca mostra ancora una volta la quasi inesauribile fonte di spunti e parallelismi che ci offre la natura, e l’importanza di un approccio multidisciplinare allo sviluppo delle nuove tecnologie. Per i tanti genitori e ragazzi che mi chiedono pareri su neuroscienze ed ingegneria, la raccomandazione è di tenere gli orizzonti più ampi possibili e curiosare: è un campo meraviglioso ed in buona parte da esplorare, che in questo istante offre prospettive di notevoli progressi.