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Zalamea, la matematica e la balena bianca

Fernando Zalamea è un celebre storico della matematica che insegna in Colombia dopo essersi formato a Parigi e Boston ed è anche un matematico, un filosofo, un critico d’arte e di letteratura, un giornalista e un autore di romanzi. Soprattutto è un uomo buono e intelligente che ha la caratteristica tipica dei grandi: non disprezza mai nessuno, non ironizza mai su cose intelligenti, ascolta con attenzione chiunque, non presume mai di aver esaurito il valore di un pensiero. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Qualche anno fa una ricerca di Google lo considerava... 

... una delle 100 menti più decisive del mondo. Sono classifiche di valore limitato ma danno l’idea del personaggio.

Zalamea è venuto a Termoli con l’artista colombiana Angie Hugueth Vasquez a parlare dell’intreccio tra Moby Dick e Groethendieck, il più importante matematico della seconda metà del secolo XX. Così, ha spiegato come nel romanzo di Melville e nella matematica (topologia algebrica) di Groethendieck - che Zalamea definisce secondo l’invenzione dello spazio-numero - si trovi la medesima struttura: se uno va al fondo della materia, dell’accumulazione del discreto, del materiale, dell’eterogeneo a un certo punto si renderà conto che nulla si spiega senza passare a un’altra dimensione, quella dello spirituale, dell’ontologico, del metafisico. La Balena Bianca è il Mistero dell’essere non ancora connotato come bene: è sia bene che male, oggetto unico delle nostre aspirazioni fino a diventare follia, centro del nostro sapere che scopre di sapere ben poco. Senza la Balena bianca, la preda eterna, Moby Dick non c’è la nostra barca, il Pequod, la ricerca, la scelta del bene e del male. Abbiamo bisogno di ciò che è spirituale, eterno, a volte vago, per capire ciò che è preciso, tecnico, materiale. Così il mistero dell’essere sostiene la fragile barca della nostra esistenza, come il Pequod del romanzo ma, viceversa, tutta la nostra esistenza - per chi l’affronta seriamente - mostra punti di fuga, luoghi e momenti di passaggio a un’altra dimensione, che affondano nell’infinito. Secondo Zalamea, in matematica tutto ciò è dimostrabile come in Moby Dick è leggibile.

Con Zalamea nessuno sa mai che disciplina si trova a fare: matematica avanzata? Filosofia teoretica? Critica letteraria? Che importa, in fondo: quando si aprono i fondali abissali dell’essere siamo tutti molto piccoli. Eppure, ed è questo l’altro risultato della serata termolese, Zalamea conclude dicendo che alla fine, pur in questa piccolezza, ci vogliono delle persone eccezionali per far avanzare la conoscenza. Le comunità sono importanti, ma non possono creare. Per creare - per essere sub-creatori diceva Tolkien - ci vogliono dei singoli “io”, che senza comunità non potrebbero esistere ma che senza novità non riescono a stare. Come Melville, come Groethendieck, come tutti coloro che non hanno paura di seguire l’ideale anche se sfugge sempre, di rischiare il fallimento pur di non rinunciare al mistero dell’essere.

È una bella proposta filosofica e matematica, totalmente contraria alle riduzioni scientiste e riduzioniste di molta filosofia analitica senza per questo finire in oscuri irrazionalismi. Merleau Ponty diceva che la filosofia è insieme gusto dell’evidenza e senso dell’ambiguità. Forse, con Zalamea, bisognerebbe correggere la definizione in gusto per la precisione tecnica e senso del mistero della realtà.


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