Vogliamo uscire dall’Egitto verso una terra nuova, abbiamo nostalgia delle cipolle di Egitto, di starcene come prima, senza voglia di novità e inventiva, speriamo in una terra più utopica, a misura d’uomo, crediamo di poterlo creare questo sperato futuro o sarà eterno sogno di chi viene dopo di noi?
Sono gli interrogativi che riempiono la mente, un po’ stanca e frastornata dalle tante bugie che hanno fatto la loro corsa libera su strade vuote, senza un cenno di alt, di multa, senza presenza di agenti competenti. Quante notizie distorte, quanti esperti superficiali o di parte, quante tavole rotonde meglio se allestite di cibi casalinghi e allietate da vini doc, che rimbombanti di argomenti banali. E mentre le città e i paesi piangevano i loro morti l’apparizione imbarazzante e poco delicata di esponenti politici non a piangere sui dolori del popolo, non a denunciare con verità e senza mezze misure carenze, errori, progetti falliti, ma impressionanti zombi del bene comune a balbettare invettive gli uni contro gli altri e a sottolineare l’inutilità delle stesse istituzioni di appartenenza.
Ma allora, questo futuro lo dobbiamo sperare, studiare, costruire? Stante la mediocrità degli uomini e l’usurata stanchezza delle Istituzioni dobbiamo aspettare che il futuro ci caschi addosso o lo dobbiamo scegliere? Dicevo che pochi di noi avranno la tentazione di piantare una tenda nello stesso campo dove è vissuto fino ad ora, poiché la pandemia ha spudoratamente svelato quanto il nostro presente sia contraddittorio se non assurdo. Siamo divisi e spaventosamente in concorrenza e diciamo di volerci aiutare, affermiamo che senza Europa il domani sarà duro e con l’Europa non siamo capaci di districare l’urgenza presente, non vogliamo le guerre con armi sofisticate e basta un virus per piegare una nazione, vogliamo accogliere gli immigrati e siamo spudoratamente legati alle dittature locali correnti.
Quale anello di questa complicata catena non tiene? Da cosa dipende questo quadro deprimente che rende l’esistenza complicata? Non bastavano gli idoli della potenza, della violenza, della supremazia economica a tenere lontani i cuori, da aggiungervi anche la distanza sociale e la mascherina protettiva? Non siamo contenti del presente, forse non ci accorgiamo che, con il nostro tenore di vita, mettiamo a repentaglio il futuro. Vogliamo un esodo che non sia però una spensierata momentanea evasione. Sentiamo che il futuro incombe, che il trapasso d’epoca, già in parte attuato, è sostanzialmente alle porte. Avevamo e abbiamo speranze in quella rivoluzione tecnologica che promette meraviglie insperate, mai sognate dalle altre rivoluzioni come quelle politiche, economiche e industriali. Ma se l’uomo è quasi in grado di programmarsi, che ci aspettiamo da questo idolo del domani?
Forse è la Silicon Valley il nuovo olimpo degli dei? I nostri sentimenti, i nostri affetti, le nostre più care memorie non contano nulla? Chi ci restituisce fiducia al cuore che questi nuovi dei, visibili e immanenti, sono la ragione della nostra speranza e la sicurezza del nostro futuro? Non so quanto l’ottimismo illusorio possa farci scommettere sul domani. La debolezza, la cattiveria, la finitudine, dell’uomo nuovo che vuole prepararci il futuro non sono irreversibili. L’uomo ha accresciuto la sua potenza oltre ogni misura, ma non ha cambiato il cuore. Il problema allora resta non quello di dove andare ma con chi e perché.