Bruxelles


Il governatore olandese

La vocazione al governatorato del premier olandese è questione etnogenetica. Per cui, per favore, non scandalizziamoci più di tanto. I governatori, che sono un po’ meno dei viceré, hanno l’attitudine al comando, al percorso ordinato e prevedibile...

...dove le aspettative vengono messe in opera senza troppe discussioni. Del resto, il sacerdozio della chiesa riformata assegna il titolo di pastor, molto assonante. E la verga d’avellano, certamente utile per sostenersi, è sempre servita anche per ricondurre il gregge sul tratturo antico, seguendo le vestigia degli antichi padri.  Tuttavia, essendo meno dei vicerè, i governatori è raro che ordiscano intrighi di corte come questi ultimi: tendono invece a obbedire ai monarchi. Si è visto quando la monarca, su un terreno spianato dalle sue lady-ciambellane, ha socchiuso la porta verso soluzioni meno rigide per l’hashtag popolare da un paio di settimane – #ReStart. Il governatore ha obbedito, sebbene con un commento dubbioso: siamo in una fase iniziale della discussione. Vedremo, se l’Europa ritrovata (così uno sherpa ottimista e di sinistra) potrà capitalizzare questa esperienza e modellare nuove norme disegnando percorsi innovativi. Vedremo, come si mette. Nel frattempo un po’ riapriamo, ma per un po’ staremo ancora in remoto. I Commissari hanno ripreso un buon ritmo negli incontri con le diverse aggregazioni industriali, economiche e finanziare che nutrono i 15 mila lobbisti in città.

Tutte le piattaforme di web conferencing sono diventate hot-stuff: se non ne hai almeno sei installate, rimani tagliato fuori. Gli schermi ad alta definizione da 27 a 32 pollici e più sono ormai introvabili. Siamo al mercato nero dei notebook e tablet che tutti professionals si sono accaparrati per avere uno schermo di rispetto se l’altro risultasse fallace; o per stare con un wifi su uno e averne uno diverso, comunque sintonizzato e ammutolito, su altre frequenze. Vedi mai... "Se non hai un backup o non stai su almeno due webinar contemporaneamente, '610: sei uno zero'" (giovane policy advisor in carriera con accento milanese). E così via.

Io mi occupo di energia, ma ho smodata passione per l’alimentare, la chimica, la farmaceutica e settori strani (per esempio, ritengo il lobbista del sale industriale e da tavola un assoluto genio e un grande maestro). Big Pharma in quest’attività virtuale nella presenza, ma tutt’altro che intangibile nella comunicazione e nella difesa degli interessi, ha avuto svariati incontri con il commissario alla salute, la cipriota Stella Kyriakides, che esige aggiornamenti costanti sul Virus e soprattutto sullo sviluppo del vaccino.

Parliamone. Chi scopre il vaccino, lo terrà per sé stesso o per il suo Paese per procurarsi un deciso vantaggio competitivo e una nuova forma di primazia globale? È un ragionamento ipotetico, gli dico. La gente di Commissione adora i ragionamenti ipotetici: rispondono più rilassati, mischiano roba buona con loro pensieri e proiezioni, ma se hai un minimo di riferimenti riesci a trebbiare molto bene e restare con la sostanza. I lobbisti, pure – permette loro, oltre che mietere, di passare suggerimenti anche fantasiosi che, forse, poi germogliano.

La potenza messa in campo delle farmaceutiche sul Virus è tale che probabilmente si arriverà a una mezza dozzina di vaccini efficaci (ottimismo). Poi ci si concentrerà su quelli con valore di antidoto immediato e poi gli altri con valore di profilassi (già più realistico, anche se complicato). La necessità di miliardi di dosi renderà impossibile il monopolio (vedremo). La collaborazione fra farmaceutiche è vasta e globale proprio per garantire diffusione e accesso (mi ricorda il Viagra e il Cialis...).

Vaccino e antidoto. Mi raccontano che nei laboratori il percorso del vaccino e dell’antidoto prevede come normale il test sulla patologia che ci terrorizza e che cerchiamo di esorcizzare, ma che ovviamente questi vanno anche su altre patologie e altri timori. "È pesca a strascico"; se una soluzione fallisce sul Virus, potrebbe essere buona per altro; e le mappe operative servire d’ora in poi su prossime pandemie (un concetto che si sta diffondendo come scenario accettabile). Tempi lunghi? La risposta vera, dice Big Pharma è desolante: quelli che serviranno per una efficacia che "renda viabile la commercializzazione e la somministrazione". In italiano ha un significato da codice della strada; nella accezione del brussels-english è un cocktail di plausibile, funzionante e funzionale con aggiunta di economicamente possibile in termini di costi e ricavi. Mischiato, non agitato.
Al Berlaymont lo sanno, il Parlamento lo sa; e tutti ne sono consapevoli. La soluzione definitiva è lontana e il "new normal" è nozione accettata per fasi uno, due, tre e tutte le successive.

Il fatto che tutti questi attori gravitino su Bruxelles e sul Paese che registra il maggior numero di morti per milione d’abitanti forse potrebbe funzionare da acceleratore, ma probabilmente meno di quanto sarebbe richiesto. Rimane il fatto che qui, nella capitale d’Europa con tutti i suoi parlamenti, le statistiche dicono che i valloni, la gente del circondario, è stata multata quattro volte di più dei fiamminghi per infrazioni al confinément, confino, da virus. Questa è la città con case di riposo che battono in performace la Baggina di Milano e dove una notizia non ha prodotto l’effetto deflagrante che probabilmente avrebbe avuto altrove. In Belgio sei milioni di maschere FFP2 con respiratore sono state incenerite un anno fa. Erano scadute, trascorsi i 10 anni dall’acquisto effettuato in occasione della pandemia H1N1 del 1999, l’influenza suina. La ministra della salute Meggie De Block aveva deciso di non rimpiazzare lo stock per economizzare sulle spese correnti. Altre fonti hanno conteggiato che il numero complessivo di maschere distrutte (comprese le chirurgiche normali) e non rimpiazzate sia di circa 32 milioni di pezzi negli ultimi anni.

Fantastico materiale elettorale, sono molti a valutare - anche sul piano europeo. Infatti, molti attendono al varco Stella Kyriakides. Nel corso della sua audizione per la conferma al ruolo di commissario, aveva indicato fra le sue priorità "la garanzia di un flusso stabile e sostenibile di medicinali sul mercato UE e la revisione del quadro legislativo per i dispositivi medici, in modo da aumetare la sicurezza per i pazienti" con la consueta spruzzata di tecnologie digitali e intelligenza artificiale. Nata a Nicosia 64 anni fa, psicologa infantile e una battaglia vinta contro un tumore, Kyriakides appartiene al Partito Popolare Europeo e punta alla creazione di uno spazio europeo per i dati sanitari (European Health Data Space). Ha citato fra i suoi obiettivi la realizzazione di un piano di screening a livello europeo. Avrà evidentemente di che occuparsi, per sperimentare a sua visione olistica della sanità e della farmaceutica europea.

Questo della salute è solo l’esempio più vicino al quotidiano. Quello che sta avvenendo su scala un po’ più ampia è lo "shift". Lo scivolamento delle priorità e lo sdoganamento del dubbio rispetto alle allocazioni e dimensioni del budget europeo. Ricordiamo felici e con nostalgia le discussioni e le contrapposizioni sul piano finanziario pluriennale e sui numerini o meno di massimo incremento accettabile e la messa in priorità che privilegiava alcuni settori, come gli investimenti “verdi” e il cosiddetto New Green Deal. Personalmente, stereotipi a parte, mi piaceva: realismo e un rilancio in Europa di capacità che nel vecchio scenario rischiavano di diventare centrali.

Ora: non è che lo European Greeen Deal, nome ufficiale, sia stato accantonato, ma se quel carro era uno dei primi della carovana degli investimenti europei nei prossimi anni, la possibilità che venga superato da altri si fa reale. Se gli stimoli al #ReStart devono venire dal bilancio Europeo, un gran numero di influencer, opinion leader, lobbisti e vecchi tromboni hanno già riorganizzato le corali e intonato cantici che richiedono la messa in priorità dei settori più adeguati al rilancio effettivo dell’economia, – roba da far rabbrividire Greta e i suoi tentativi di conservare visibilità e immagine.

Il nuovo mantra si chiama ecosystems, ecositemi che comprendono le industrie, le filiere complesse che producono occupazione, che rimettono quattrini sui conti correnti dei cittadini e rilanciano i consumi. Fare PIL, recuperare fatturati, creazione di valore e, laddove è possibile, nuovo valore creato da innovazione e dalla congiunzione astrale con una digitalizzazione iper-avanzata (e forzata); da uno scatto, e passo, tecnologico pari a quello dell’ultimo trentennio del XX.

"Siamo ancora nel discorso ipotetico?". Mi guarda sorpreso attraverso Zoom, la piattaforma che stiamo usando, come a dire: "certamente"... L’evoluzione degli ecosistemi di questo tipo richiede forti convergenze di volontà politiche, operative ed economiche; richiede l’abbandono di alcune rigidità. Probabilmente si stanno rispolverando piani mai attuati di mantenimento di interi settori manifatturieri nella Ue che sono stati preparati negli Anni Dieci e frettolosamente apprezzati ma ignorati, come quello di Antonio Tajani da Commissario all’Industria nel Barroso 2 e di cui rimane un ottimo libro da leggersi senza pregiudizi e valutazioni frettolose: Industry and Innovation in Europe, per i tipi di Lannoo Campus di Lovanio.

L’icona della valutazione degli aiuti di Stato è stata velata, per ora; competizione, antitrust possono essere riviste in chiave più morbida; altro è in arrivo. Non basterà: il vero punto ruota, nel discorso ipotetico, sulla necessità di una strutturata pianificazione delle necessità, delle produzioni possibili e delle ripartizioni di competenze a livello nazionale, ma anche a livello europeo. E sul recupero in Europa di catene del valore industriale oggi delegate ad altre economie, quasi in una logica da kibbutz, o kolkhoz. Prevedibilità, compattezza e disciplina nella difficile risalita e per il recupero di una posizione magari non perfetta, ma che prevedeva più comodità.

Nella casa in cui sono cresciuto, nella colonia olandese delle isole delle spezie, si parlava italiano, piemontese, indonesiano e, appunto, olandese. Il Governatorato era a pochi passi, allora molto diretti. Tutti, vi si passava dinnanzi con rispetto anche quando gli olandesi erano stati cacciati da un pezzo. Quando il Governatore parla so ascoltare. E capisco quello che dice. Rinnovando il piacere di essere, malgrado tutto italiano, e di scrivere queste considerazioni in uno storico giorno d’aprile, seppure in una primavera sprecata.

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