Mi sono ricordata tutto ad un tratto di un’altra Milano, una città che anche se ha sempre accolto la gente di luoghi diversi, come la mia famiglia ad esempio, era più coesa rispetto all’oggi: l’atmosfera era più sperimentale e libera, meno snob.
Mi sono ricordata i miei primi passi. Le prime mostre che andavo a vedere allo Studio Marconi o al Mudima, come via Tadino a quel tempo era la vitalità artistica di Milano: mi sono ricordata dei molti, bravi artisti italiani, da Adami appunto (molte opere storiche in mostra provengono infatti dalla Fondazione Marconi) a Emilio Tadini, a Aldo Spoldi, Lucio Del pezzo, Enrico Bai, Nanni Balestrini, Gianfranco Pardi e altri ancora. Giorgio Marconi era un uomo gioviale e salutava tutti quelli che entravano nella sua galleria, aperta nel 1965. Gino Di Maggio, anima del Mudima, era altrettanto disponibile e curioso, lo spazio era bellissimo e inusuale e là, grazie a Gino, conobbi Arturo Schwarz. Gli artisti erano più anziani di me, ma erano tutti molto aperti, si capiva che si divertivano.
E poi mi sono ricordata di Ugo Carrega, poeta visuale, artista eccellente, collerico e anarchico, che volle aprire anche lui una sua vetrina in via Tadino, il suo “negozietto” , così lo chiamava, proprio di fianco al Mudima, che era a sua volta a pochi passi dallo Studio Marconi. Scelse come nome dello spazio “Euforia Costante” in onore di Marcel Duchamp: secondo il motto duchampiano l’artista deve sempre mantenere nei confronti del suo lavoro ( e della sua vita) un atteggiamento di euforia costante, come racconta nella lunga intervista che gli fece Pier Cabanne, “ Ingegnere del tempo perduto”. E fu proprio da Ugo Carrega che feci la mia prima mostra personale: dei dipinti su carta di giornale. Molto acerba per la verità, anzi piuttosto tremenda, ma evidentemente il rapporto con la cronaca già allora mi interessava. Ero rimasta meravigliata dalla sua tranquilla fiducia in me e nel mio lavoro ed era contentissimo quando andavo a trovarlo, anche se parlando d’arte poi si alterava sempre moltissimo. Insomma, la mostra di Valerio Adami è stata la mia Madeleine.