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La felice illusione di Xuto

Una violenza, una divinità ambigua, un oracolo, un figlio da riconoscere: questi gli elementi essenziali della trama della tragedia euripidea “Ione” (411 a.C. ?). Classificabile come tragedia d’intrigo, “Ione” prende il titolo dall’omonimo protagonista, nato dall’unione di Apollo e Creusa, figlia del re di Atene. Costretta ad abbandonare il bambino, Creusa sposa Xuto, il quale, a seguito di un errato responso dato dal medesimo dio, si convince che Ione sia il proprio figlio, avuto non dalla moglie.

L’intervento della pizia e di Atena, dea ex machina, eviteranno a Ione la morte per mano di Creusa e permetteranno alla madre e al figlio di riconoscersi e ricongiungersi.

Accanto alla tematica di natura politico-ideologica, ovvero la celebrazione, mediante riscrittura genealogica, dell’autoctonia degli ateniesi, tra i nuclei caratteristici dello “Ione” emerge la problematicità, squisitamente greca, del rapporto tra divinità e uomo, un’interazione la cui ambiguità si traduce anche in uno scetticismo gnoseologico che avvicina Euripide alle esperienze dei coevi sofisti.

Al centro della tragedia troviamo Apollo. Il dio è all’origine dell’azione nella duplice veste di genitore del protagonista (personaggio) e di guida segreta del dipanarsi della vicenda (figura pseudo-registica). Se, non comparendo mai sulla scena (il prologo è recitato da Ermes, suo portavoce), Apollo sembra chiuso nella propria indifferenza, egli, tuttavia, muove le pedine della vicenda con un piano che sembra avere del provvidenziale. Suo obiettivo è, infatti, una volta salvato Ione, permettergli di avvicinarsi alla madre ed entrare nella dinastia regale ateniese. Strumento fondamentale per la realizzazione del progetto è far credere a Xuto che Ione sia suo figlio. Apollo violenta, Apollo tenta di garantire il potere alla prole, Apollo inganna deliberatamente un fedele. L’oracolo falso, che genera i fraintendimenti dell’intreccio, permette non solo di riflettere sulla contraddittorietà e l’indecifrabilità della figura divina, ma anche sui limiti che il divino stesso si trova a dover affrontare, limiti imposti dall’incombenza di quella forza che i Greci chiamano tyche. Apollo, infatti, non può e non sa prevedere il pericolo del proprio ingannevole responso, non immagina che la falsa attribuzione di paternità scatenerà l’ira di Creusa, disposta a uccidere quello stesso figlio che il dio vuole tutelare. Nello “Ione” il divino si fa piccolo dinanzi all’imprevedibile, un imprevedibile che assume ora le forme della mutevolezza e dell’intensità delle emozioni umane.

Se gli dei di Euripide sono, dunque, limitati, la condizione degli uomini, già incapaci di comprendere le ambiguità del divino, è ancora più problematica. Così Creusa non sa di stare per ammazzare il proprio figlio, così Ione non sa di trovarsi al centro di una concatenazione di equivoci, così Xuto non sa di avere creduto a un oracolo errato. Vittime di un’incertezza esistenziale e gnoseologica, i personaggi si muovono in una realtà ingannevole, indecifrabile nell’interezza, non passibile di un’unica interpretazione, non portatrice di un’unica verità. Solamente alla fine della vicenda ai personaggi, prigionieri di un intrigo di cui sono contemporaneamente vittime e artefici, è data la possibilità di sapere, di conoscere. Non a tutti, però. Lo “Ione” si chiude, infatti, con la richiesta di Atena di mantenere Xuto all’oscuro della rivelazione finale. Perché si compia il piano di Apollo occorre un sacrificio della verità, occorre che qualcuno rinunci alla conoscenza, che rimanga nel falso. Nel lieto fine che scioglie l’intrigo, dunque, Xuto rappresenta l’ombra, quella felice, ma amara, illusione che testimonia la tragicità dell’imperfetta condizione umana.


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